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Europa pacifica

Operaincerta, 14 marzo 2018

 
600 giocatori di Tonga, Fiji e Samoa hanno lasciato i loro Paesi per venire a giocare a rugby in Europa. Un’invasione di cui nessuno si lamenta

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Le statistiche dicono che nel mondo ci sono poco meno di sette milioni di persone, distribuiti in 120 Paesi, che giocano a rugby. Naturalmente ciò non vuol dire che ce ne siano 58.000 in ognuno di questi Paesi: in alcuni ce ne saranno almeno trenta (giusto per poter disputare una regolare partita), in altri molti di più.
Sempre stando alle statistiche, il Paese con più praticanti sembra sia l’Inghilterra, con oltre 2 milioni di giocatori (a tutti i livelli, dai professionisti a quelli che qui chiameremmo “giocatori di rugby pane e salame”) e quasi 350.000 tesserati (vi sono compresi, allenatori, arbitri, dirigenti e tutte quelle persone che ruotano intorno al mondo della palla ovale). Noi italiani abbiamo meno di 100.000 giocatori e altrettanti tesserati, mentre in Nuova Zelanda, il Paese con la Nazionale più forte al mondo, ci sono circa 150.000 giocatori e altrettanti sono i tesserati.
Andando a guardare con attenzione questo genere di statistiche, c’è un dato colpisce in modo inaspettato: la nazione più rugbistica al mondo non è l’Inghilterra e nemmeno la Nuova Zelanda! Nel rapporto tra popolazione e giocatori, la nazione più ovale è Tonga, seguita a ruota da Fiji e Samoa. Nell’arcipelago delle Tonga ogni 2,2 persone (considerando anche i vecchi e i neonati), una gioca a rugby. Praticamente su 105.000 persone che popolano quelle isole, metà di loro giocano con il pallone ovale (e se escludessimo vecchi e neonati, il rapporto sarebbe ancora più sorprendente). Nelle altre due isole pacifiche, invece, il rapporto è rispettivamente di uno ogni 5,6 e uno ogni 9,1. Per darvi un parametro, nel Belpaese gioca a rugby un italiano ogni 728 abitanti.
Le isole del Pacifico, però, sono piccole e povere, così tanti giocatori, evidentemente i più talentuosi, ma non solo, per sbarcare il lunario scelgono di lasciare il proprio Paese e venire in Europa a cercare fortuna.
Attualmente nei nostri campionati, soprattutto in quello inglese, militano oltre 600 giocatori che arrivano dalle isole pacifiche. Se pensiamo che in quei posti vivono circa un milione di persone, significa che quasi lo 0,1 % della popolazione è emigrata per giocare a rugby.
Nelle isole del Pacifico, avere un “emigrante” di quel genere, per una famiglia, è come avere uno zio d’America. Pare che un solo giocatore di rugby, tesserato per una società europea non necessariamente di prima fascia, riesca, non solo a vivere decentemente nel suo nuovo Paese, ma anche a sfamare degnamente la famiglia rimasta nel paese natio.
I più fortunati (dovremmo anche dire i più bravi), se hanno la ventura di arrivare in Europa da giovanissimi, oltre che avere più tempo e facilità per ambientarsi meglio nella nuova situazione, avranno anche l’opportunità di costruirsi una carriera di tutto rispetto e, grazie alle regole sull’equiparazione (http://allrugby.it/equiparati-chi-sono/), potranno anche vestire la maglia della Nazionale del Paese che li ospita e diventare un idolo per i suoi abitanti. Il più famoso di questi è probabilmente Manu Tuilagi, trequarti centro, nato a Fogapoa nelle Samoa, arrivato a 13 anni in Inghilterra, che attualmente gioca con i Leicester Tigers ed è uno dei punti di forza della Nazionale inglese.
Non tutti, evidentemente, hanno la fortuna di Tuilagi, ma sono tanti i giocatori che, in qualche modo, possono ritenersi comunque fortunati visto che hanno ottenuto un ingaggio con squadre del vecchio continente.
Qualche mese fa la nazionale fijana ha incontrato, al Cibali di Catania, l’Italrugby. Dei 15 fijani in campo al fischio d’iniziio solo due giocavano in squadre extraeuropee (uno in Nuova Zelanda, l’altro nelle Fiji); gli altri erano tesserati per formazioni del Top14 francese (nove) e per squadre della Premieship inglese (quattro).
Non si tratta di un’invasione, ma poco ci manca. Ciò che meraviglia è che per questo genere di “invasori” nessuno si lamenta, così come invece si fa quando un’altra tipologia di “invasori” arriva a bordo di barconi sulle nostre coste in cerca di fortuna. Eppure anche Manu Tuilagi, arrivato in Inghilterra grazie a un visto turistico, ha vissuto per anni nel regno della perfida Albione da clandestino. Dove sta allora la differenza?