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L'apparenza inganna
Operaincerta, 14 aprile 2014
La ruck del rugby, quel gran casino organizzato
Non sempre quello che all’occhio distratto appare un “grande casino” lo è nella realtà. Ad esempio, secondo il giornalista della Gazzetta dello Sport Sandro Cepparulo il “rugby è l’assoluto ordine nell’apparente disordine”.
E in mezzo a tanto apparente disordine c’è un momento in cui il disordine, il caos, il casino sembra massimo e invece così non è. Parliamo della fase di gioco comunemente chiamata “ruck” (si tratta di una parola inglese, si pronuncia “rak”) e che, agli occhi del profano, altro non sembra che una più o meno gigantesca rissa tra uomini in pantaloncini e magliette il più delle volte a righe orizzontali.
Così non è. Il perché ce lo spiega tra un momento Peppe Gurrieri, già allenatore del Padua Rugby Ragusa e attuale coach della selezione Under18 della società iblea.
Prima però spieghiamo cosa vuol dire “ruck”. Come detto poche righe fa, si tratta di una parola inglese che ha diversi significati, tutti però che in qualche modo danno il senso di quello che si vede su un campo di rugby: massa, mischia, mucchio, ma anche sgualcire, spiegazzare, raggrinzare. Capite adesso perché chi non mastica rugby guarda una ruck e pensa al grande caos?
Wikipedia dà questa definizione: “Situazione di gioco che si costituisce quando uno o più giocatori avversari si trovano a contatto l’uno contro l’altro per contendersi il pallone a terra, con i compagni di squadra legati almeno tramite un braccio”.
Sembra complicato ma non lo è. Forse perché la spiegazione di Gurrieri è più accessibile.
«C’è un giocatore che, palla in mano, attacca la linea difensiva avversaria, ma viene placcato. Una volta a terra, il placcato deve lasciare l’ovale e, proprio in quel momento, se né la difesa né l’attacco riesce a fare proprio il pallone, si forma la ruck. Per dirla in modo ancora più semplice, la ruck è la palla contesa a terra».
Dunque c’è un giocatore che viene messo a terra e ci sono i suoi compagni di squadra, il cosiddetto sostegno di conservazione, o gli avversari, il sostegno di recupero, che tentano di fare proprio l’ovale.
«In pratica, se il sostegno di recupero arriva per primo e mette le mani sull’ovale, prima che si formi la ruck, a conquistare la pallasarà chi difende. Viceversa, se arriva per primo quello di conservazione, si crea la ruck con la palla che viene coperta dal sostegno».
Riepiloghiamo per capire meglio. Un giocatore attacca, viene placcato, cade a terra, lascia libero l’ovale, arrivano i suoi compagni di squadra a formare la ruck. Da quel momento gli avversari non possono più recuperare il pallone.
«Non è proprio così», puntualizzaGurrieri. «Perché una ruck sia valida basta un solo uomo che copra l’uomo a terra, ma il pallone potrà essere recuperato in spinta dall’altra squadra. A quel punto, chiaramente, diventa una semplice questione di forza».
La ruck un tempo si chiamava “mischia spontanea”, i francesi la chiamano ancora “mêléeouverte”, mischia aperta. Tutto lascia pensare, e la cosa è confermata da quanto l’occhio non esperto percepisce, che si tratti di una situazione di gioco confusa, improvvisata al momento. E questo punto dovrei rimangiarmi quanto detto in apertura di questo articolo. Ma a impedirmelo c’è Peppe Gurrieri: «Nella ruck non si improvvisa nulla. La sua struttura viene provata e riprovata più volte in allenamento. C’è il giocatore a terra; due suoi compagni vanno a “pulire” ai lati del placcato…». Che cosa fanno? «Puliscono la ruck, si mettono a guardia del proprio compagno e fanno in modo che nessun avversario possa prendere il pallone. Nei fatti, significa ingaggiare una lotta con l’avversario che sta tentando di prendere il pallone. Contemporaneamente c’è un terzogiocatore che va a chiudere a ponte legandosi all’uomo a terra. È quello l’esatto momento in cui si forma la ruck. È quello il momento in cui gli avversari, per entrare in possesso del pallone, possono solo spingere, a condizione di entrare dal gate, dal cancello».
Andiamo bene… prima si è “pulito”, adesso spunta anche un “cancello”. «Il gate», chiarisce Gurrieri, «è l’area delimitata dal busto del placcato attraverso la quale si può entrare nella ruck. Chi lo fa senza passare per il cancello commette un fallo che viene sanzionato con una punizione. È chiaro che più grande èquest’area, più facile è per gli avversari contestare una ruck. Per questo il placcato tende sempre ad assumere una posizione perpendicolare rispetto alla lunghezza del campo».
Quindi una ruck si forma se ci sono almeno tre uomini a difesa del giocatore a terra? «No, non c’è un numero predefiniti di uomini. Potrebbe anche bastarne solo uno, ma siccome difendere il pallone è sostanzialmente una questione di forza fisica, più uomini metti a guardia, più difficile sarà per gli avversari conquistare il pallone. Ma se metti molti uomini in una ruck, ne avrai di meno disponibili quando il pallone verrà successivamente giocato. Quindi in una ruck vanno tanti uomini quanti ne bastano per non farsi sopraffare dall’avversario».
E dopo che si è formata ‘sta benedetta ruck, che succede? Gurrieri allarga il sorriso, come per dire “elementare Meno”: «A quel punto, la squadra ha 5 secondi di tempo per far uscire la palla e giocarla. Altrimenti l’arbitro fischia un fallo e concede una mischia con introduzione per la squadra avversaria».
A questo punto inizio a fremere… possibile che ciò che sembra una grande accozzaglia di uomini sia invece una tra le fasi di gioco più studiate e preparate? Pare proprio di sì.
«Perché un ragazzino che inizia a giocare a rugby assimili per bene questo momento tattico occorrono almeno un paio di anni. Per capirlo ci metterà al massimo 15 minuti; per farlo realmente suo, invece, forse non bastano due stagioni, perché ci sono mille piccoli aspetti che vanno curati se si vuole che la propria ruck diventi un fortino inespugnabile. In tanti pensano che basti essere grandi e grossi per difendere il pallone. In realtà la stazza fisica non basta. Se non si ha anche tecnica e non si è ben allenati atleticamente, alla lunga si verrà sopraffatti dall’avversario. E se consideri che nel rugby moderno si giocano una quindicina di mischie ordinate e una ventina di touche a partita mentre durante gli ottanta minuti regolamentari ogni squadra effettua un centinaio di placcaggi, capisci bene che la ruck diventa un momento importante, fondamentale, in un incontro. E se non la sai fare bene, sei condannato a soccombere».
È proprio vero: l’apparenza, a volte, inganna.