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Uno sport duro ma leale

Insieme, 2 febbraio 2014

 
IL RUGBY RACCONTATO A CHI NON LO CONOSCE

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C’è uno sport che ha degli aspetti che a prima vista possono apparire paradossali.

È uno sport nel quale, per attaccare bisogna passare la palla indietro; nel quale il contatto tra i giocatori è duro ma non violento; nel quale accetti serenamente la decisione dell’arbitro anche se sei sicuro di star ricevendo un torto; nel quale perdere 100 a 0 è più onorevole che perdere 10 a 0 con la squadra avversaria che però ha giocato senza impegnarsi; nel quale ci si batte contro 15 avversari ma che al termine della partita si va a mangiare e bere insieme ad altri 29 amici.

Questo sport si chiama rugby e a Ragusa, da quasi cinquant’anni, quando si parla di rugby si parla del “Ragusa Rugby Club Salvatore Padua”, una società che da sempre dà lustro alla nostra provincia e che da sempre è una delle culle del rugby meridionale.

La squadra senior del Padua, così lo chiamano tutti gli appassionati della palla ovale, quest’anno sta disputando il campionato nazionale di serie B con l’obiettivo primario della salvezza. Ma il vanto della squadra iblea non sta tanto nel fatto di disputare un campionato prestigioso come quello cadetto, quanto l’avere in squadra tutti giocatori (tranne uno “straniero”, il catanese Andrea Ferrara) provenienti dal proprio vivaio.

È questa la ricchezza della società biancazzurra: un vivaio che ogni anno sforna uomini, ancor prima che campioni, che poi vengono accolti in prima squadra o, come nel caso di Mirko Amenta (insignito proprio qualche settimana fa del prestigioso Premio Padua), Adriano Nicita o Alessandro Alparone vanno a giocare in squadre che disputano il campionato di serie A o di Eccellenza e che, nel caso di Amenta, arrivano anche a vestire la maglia della Nazionale Italiana.

Ma il rugby, come si diceva qualche riga fa, punta prima a far crescere i ragazzi e a farli diventare uomini perché, se per diventare campioni c’è sempre tempo, se prima non si è uomini campioni non si potrà mai essere.

Per riuscirvi, gli allenatori, che in fondo non sono altro che educatori, predicano fin dal primo giorno le regole fondamentali del rugby: disciplina, rigore, altruismo. E il rispetto. Per le regole, per l’avversario, per i propri compagni. Perché il rugby consente di combattere contro l’avversario ma solo nel rispetto delle regole. E solo rispettandole ci si può veramente divertire.

Il riguardo per le regole prevede, innanzitutto, che non si contestino mai le decisioni dell’arbitro. Per questo, se una squadra protesta, viene penalizzata con l’arretramento del punto di ripresa del gioco, e per uno sport in cui la conquista del territorio è il solo mezzo per riuscire poi a marcare punti, capirete quanto sia importante non protestare.

La considerazione si estende anche agli avversari. Nel rugby non si gioca sleali. Quei pochi che lo fanno vengono sempre puniti con sanzioni esemplari, anche dopo la conclusione dell’incontro, qualora l’intervento arbitrale, durante la fase del gioco,  non sia stato tempestivo. E non è raro che siano gli stessi compagni di squadra a “consigliare” chi gioca sporco di smetterla di comportarsi contravvenendo a quel “codice d’onore”.

Il rugby, lo dicevamo prima, è un gioco duro, dove lo scontro fisico è importante, ma è uno sport onesto, dove non si gioca per far male all’avversario. E a differenza di altri sport, calcio in primis, non ci si butta a terra fingendo di aver subito un fallo. Perché ingannare gli altri è un po’ come ingannare se stessi. Non si simula, semplicemente perché i disonesti non hanno il diritto di vestire le maglie a righe orizzontali.

Il rugby è anche un gioco con sani principi educativi, dove lealtà sportiva, onestà e coraggio sono i capisaldi della sua valenza educativa. Si gioca sempre “con” la squadra avversaria, mai “contro”. E si gioca in quindici, uniti da un unico obiettivo, perché da soli non si va da nessuna parte. Il rugby è lo sport collettivo per eccellenza. Richiede, oltre a doti fisiche, anche virtù morali ed educative quali la generosità, lo spirito di sacrificio, ma soprattutto la fiducia in se stessi e nella squadra.

Se casualmente un ragazzino più dotato fisicamente riesce a far fuori la difesa, la volta successiva non ci riuscirà più perché gli avversari si saranno organizzati per bloccarlo. E lui, “in compenso”, prenderà qualche colpo in più.

Per ovviare la soluzione è solo una: guardare indietro e cercare il sostegno dei compagni. Tutti devono essere coinvolti allo stesso modo anche se impegnati nei diversi ruoli. Questo è importante per la formazione di un giocatore, non solo sotto il punto di vista atletico ma anche caratteriale. Perché tutto quanto avviene durante una partita richiede un lavoro di squadra: dalla conquista dell’ovale, al suo utilizzo e alla segnatura. Raramente la vittoria è il premio per la squadra fortunata; quasi sempre è la gratificazione per la squadra che meglio ha giocato.

Sostegno, dunque, è il termine magico che permette di aiutarsi a non farsi male. Sostegno, o collaborazione, altra parola fondamentale che, se messa in pratica, insegna non solo la destrezza finalizzata a superare l’avversario, ma anche la cooperazione di gruppo, la disciplina e il rigore dell’azione.

Se non si collabora non si va da nessuna parte, se non passi la palla gli avversari ti mettono giù, ti placcano. Se invece cerchi la collaborazione dei tuoi compagni, se loro ti danno il sostegno… allora  è probabile che l’ovale possa arrivare fino in area di meta.

In questo sport il confronto è sicuramente duro, ma leale, ed il rispetto dell’uomo è prioritario e  totale. Perché, è bene continuare a ricordarlo, chi va avanti con l’ovale in mano, sa di poter sempre contare sui propri compagni di squadra, sa di non essere solo e di avere altri 14 amici che faranno di tutto aiutarlo. Da questo dialogo, da questa espressione corporale individuale e collettiva, da questa opposizione tra le due squadre e dall’equilibrio che si determina, nasce il gioco. Ogni giocatore è sempre determinante, sempre utile, , sempre vigile e mai inattivo: pensa per sé e per gli altri.

Esiste qualcosa del genere in altri sport?