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È schermamania

La Città, 2 dicembre 2006

 
Intervista a Roberto Molina, maestro dell'Accademia Scherma Ragusa

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In Italia la scherma viene considerata uno sport minore, nonostante sia disciplina olimpica dal 1914 e nonostante il fatto che in questi novant’anni i nostri atleti abbiano vinto più di 100 medaglie.
In provincia di Ragusa invece, da più di un decennio, la scherma, nello specifico il fioretto, vive un periodo d’oro costellato da affermazioni a livello nazionale.
Adesso, anche nel capoluogo ibleo è scoppiata la febbre della scherma e molti bambini e ragazzi si sono e si stanno avvicinando a questa disciplina.
Il maestro Roberto Molina è un ex schermidore salvadoregno con alle spalle un discreto passato agonistico. Tra la metà degli anni settanta e la fine degli ottanta è stato tra i più forti schermidori americani, ha partecipato a diverse edizioni dei giochi Panamericani (l’equivalente dei nostri campionati europei) e alle olimpiadi di Los Angeles del 1984. Poi, sono le sue testuali parole “quando mi sono reso conto che non avrei mai vinto un mondiale o un’olimpiade ho scelto di diventare maestro e insegnare a tirare di scherma”.
Così sedici anni fa è venuto in Europa e, chiamato a Modica dall’attuale Presidente della Federscherma Italiana, Giorgio Scarso, ha passato un decennio ad allenare i giovani modicani. Cinque anni fa si è trasferito a Ragusa, ha fondato la società sportiva “Accademia Scherma Ragusa” che ha sede in una palestra della scuola Umberto I. È lì che lo incontriamo per parlare di scherma, di disciplina, di risultati.
Contrariamente a ciò che normalmente accade, è stato lui a porre la prima domanda: “Ma perché mi volete intervistare? In cinque anni ho avuto solo tre o quattro interviste. Perché purtroppo da noi si dà troppa importanza al calcio o alla pallacanestro e si trascurano gli sport piccoli, anche se spesso sono gli sport piccoli a darci le maggiori soddisfazioni”.

Maestro Molina, come mai a Ragusa è esploso il fenomeno scherma?
A Ragusa la scherma ha avuto un inizio difficile. Prima che io arrivassi La scherma era un oggetto misterioso e tutto è stato creato partendo da zero. Ho chiesto al Comune una palestra, ho bussato alle porte degli amici per trovare iscritti, i genitori dei bambini si sono tassati per comprare le pedane, per imbiancare le mura di questa palestra. Poi c’è stato il boom. Nella scherma il fattore qualità è fondamentale, il detto “pochi ma buoni” è più che mai appropriato. Io ho sempre dato il massimo senza però promettere l’impossibile. Così tra me e i ragazzi si è creato un rapporto molto bello. Senza falsa modestia, diciamo che il merito va ripartito in parti uguali tra il maestro e la disciplina sportiva. Personalmente sono molto contento per quello che sono riuscito a creare e questo dimostra che dal nulla si può fare qualcosa, a condizione che ci si metta passione e cuore.

Quanti sono i piccoli atleti tesserati per la sua società?
La società ha più di 50 tesserati. I più piccoli fanno solo una specie di gioco-scherma perché sarebbe controproducente a quell’età, parliamo di bambini di 5-6 anni, metterli già di fronte alle regole della scherma. La fascia più numerosa, sono una trentina, è quella che va dagli 8 ai 12 anni. Ma abbiamo anche atleti che arrivano fino ai 17-18 e un gruppo di over 40. Inoltre, da quest’anno, una ventina di bambini della scuola “Paolo Vetri” si sono uniti a noi, grazie ad un progetto che sta portando avanti quella scuola. E a questo punto la palestra comincia ad essere troppo piccola…

Che cosa insegna la scherma? Perché un bambino dovrebbe praticarla?
La scherma è uno sport educativo, molto severo e rigido, nel quale la concentrazione e il rispetto per gli altri sono fondamentali. I genitori sono contenti che i loro figli praticano questo sport perché il rispetto che vi si insegna viene poi “trasferito” nella vita di tutti i giorni. Questo, se non fa di loro dei sicuri campioni, li fa però diventare persone ben inserite nella società. Non so se è un caso, ma tutti i ragazzi che vengono a scherma hanno anche ottimi risultati a scuola.

Allora la scherma è anche una scuola di vita?
Sì. Ci sono bambini che quando arrivano sono timidi, introversi e che tirando di scherma, pian piano, diventano più estroversi, più sicuri di sé. La scherma è uno sport individuale e non ci si può nascondere, come invece capita negli sport di squadra dov’è il bambino più bravo che comanda e tutti gli altri giocano in funzione sua.

E sul piano agonistico, che risultati riuscite ad ottenere?
I risultati sono arrivati fin dall’inizio. Il difficile viene adesso perché mantenere alta la qualità non è facile. Sono state tante le società che una volta raggiunto l’apice sono improvvisamente crollate perché non sono riuscite a gestire il successo. E questo non solo nella scherma. Certo, la mancanza di sponsor e di una palestra nostra ci limitano. Ma noi andiamo avanti lo stesso, anche grazie ai sacrifici delle famiglie che, per esempio, pagano di tasca loro le spese per le trasferte. La prossima settimana saremo a Lucca per i campionati nazionali under 14 e saranno i genitori ad essere gli “sponsor” dei propri figli. Se penso a quanto guadagna un calciatore e a quante cose si potrebbero fare con uno dei suoi stipendi…

Prima accennava ad un progetto con la scuola Paolo Vetri. Ci può spiegare di che si tratta?
All’inizio di quest’anno scolastico, d’accordo con il preside Accardi, abbiamo fatto delle dimostrazioni e da lì una ventina di bambini si sono iscritti ai nostri corsi. Ma la cosa più bella è che una volta alla settimana la scherma entra a scuola, durante l’ora di educazione fisica, perché gli insegnanti si sono resi conto che l’abitudine alla concentrazione durante le ore in cui si tirava di scherma rendeva più facile la concentrazione durante le ore di studio.

Infine una domanda che noi profani a volte ci facciamo: uno schermidore potrebbe sostenere un vero duello?
Io penso di sì. Anche se nei duelli che si tenevano un tempo c’erano azioni che adesso, nella scherma moderna, sono proibite, non sono autorizzate. Allora, se lo schermidore si attiene alle regole non credo ne uscirebbe vittorioso.