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Una donna libera

Operaincerta, 14 ottombre 2006

 
Intervista a Marilena Licitra e Rosina Occhipinti, figlia e sorella di Maria Occhipinti.
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Qualche mese fa, sulla spinta di una petizione popolare, veniva finalmente accolta la richiesta di intitolare una via o una piazza a Maria Occhipinti, la donna di Ragusa che, nel gennaio 1945, aveva capeggiato la rivolta dei “Non si parte”, opponendosi al richiamo alle armi dei giovani appena tornati dal fronte.
Il comune di Ragusa aveva scelto di intitolarle la rotonda di via Roma ma, non si sa per quale motivo, finora non ha ancora provveduto alla sistemazione della targa in quella che diventerà la rotonda Maria Occhipinti.
Per manifestare il proprio dissenso contro questo inspiegabile ritardo, il 23 settembre un gruppo di cittadini ragusani, Pippo Gurrieri in testa, hanno organizzato una piccola cerimonia, erano presenti una cinquantina di persone, e hanno apposto loro una targa simbolica con il nome di Maria Occhipinti.
Nel numero 7 del 14 febbraio, Operaincerta si è già occupata di Maria Occhipinti, raccontandovi la sua storia.
Quest’estate abbiamo avuto l’occasione di incontrare Marilena Licitra, sua figlia, e Rosina, sua sorella.

Marilena, che donna era tua madre?
Tutti la conoscono come una ribelle. Era una donna generosa, spirituale, non era attaccata alle cose materiali.
Era anche una donna di una coerenza incredibile, capace di qualsiasi sacrificio per restare fedele alle sue idee; era durissima con se stessa e pretendeva lo stesso dagli altri.
Pensa che, nel 1973, era ammalata e da allora non aveva più potuto lavorare, le donne socialiste le avevano chiesto di rappresentarle alla Comunità Europea ma lei non aveva accettato. Io quella scelta non l’avevo capita e le avevo detto «Ti sei sempre battuta per le ingiustizie, per i poveri, avresti potuto fare la stessa cosa lì. E poi i soldi che avresti guadagnato in questo momento sono necessari». (Ero appena tornata in Italia e guadagnavo pochissimo). Sai cosa mi rispose? «Io non mi sono prostituita, moralmente, quando avevo trent’anni, figurati adesso che ne ho più di cinquanta! Se voglio dire le mie verità non voglio essere condizionata da un partito, da una linea. Io sono una libera pensatrice!»
Era una ribelle e voleva fare solo quello che le dettava la sua coscienza.

Cosa ha significato, per te, essere la figlia di una ribelle?
Quand’ero piccola ne ho sofferto molto. I bambini hanno bisogno di mantenere le proprie radici, io invece non ho mai fatto due anni nella stessa scuola e sono stata sballottata di qua e di là per il mondo, come un pacco postale. Il prezzo è stato molto alto. Poi, crescendo, ho capito molte cose e mi sono resa conto che, malgrado tutto, quel tipo di vita mi ha arricchita dentro. Ma sono cose che si capiscono in età matura.
Mi lasciava temporaneamente da amici e partiva da sola. Cercava un lavoro come sarta o come aiuto-infermiera e quando si era organizzata, mi richiamava. Poi, dopo poco tempo, si stancava di quel posto, e si ricominciava. Lei diceva che era come se le bruciasse la terra sotto i piedi. Prendeva le sue quattro cose, era molto spartana, e andava via. Quando mi lamentavo, mi diceva che lo faceva per me, per migliorare la nostra condizione economica: «Non voglio che mia figlia lavori, voglio mantenerti agli studi». La nostra era una vita di miseria, ma si sopravviveva con dignità e pulizia.

Che cosa rappresentava, per te, tua madre?
Io la vedevo come una montagna di lealtà, coraggio, coerenza. Era eccezionale, aveva una grande sete di sapere. Era un’idealista. Spirituale, generosa. Per me era uno sprone dimostrare di essere all’altezza di questa donna. Era difficile, ma mi ha formato tantissimo, mi ha trasmesso valori umani e sociali che mancano a molti giovani d’oggi.

Ma allora era una mamma o un mito?
Le due allo stesso tempo. Avevamo una grande intesa, umana e spirituale. Mi raccontava che ha voluto darmi un’educazione internazionale perché, soffrendo di cuore, aveva il terrore di morire e temeva che fossi costretta a tornare in Sicilia dove chissà cosa mi avrebbero raccontato su di lei. Per questo lei, con me, era un libro aperto, nel bene e nel male. Mi ripeteva sempre «Voglio che tu sappia tutto».
Mamma odiava la mentalità gretta, i pregiudizi dei ragusani, che l’avevano tanto discriminata, ma portava ovunque nel suo cuore il ricordo di quella società contadina dove la gente era dignitosa e onesta.

E il rapporto con tuo padre, invece?
Mio padre in pratica non mi ha mai conosciuto interiormente. Mia madre non mi ha mai messo contro di lui, nonostante ne avesse avuto più di un motivo. Addirittura mi spingeva a scrivergli almeno due lettere all’anno anche se lui, essendo analfabeta, non avrebbe potuto leggerle. Nell’età adulta per anni ho cercato di instaurare un rapporto più approfondito con lui ma non è mai stato possibile, alla fine vi ho rinunciato.

Quand’eri bambina, ragazzina, ti piaceva tornare Ragusa?
Per me era una grande gioia, perché ritrovavo le zie, i cugini, i nonni, il calore della famiglia che mi mancava tanto. Con la famiglia di papà invece non avevo quasi nessun rapporto.

Signorina Rosina, com’era sua sorella prima della guerra?
Era una normale donna di casa. I nostri vicini erano comunisti e le avevano fatto aprire gli occhi su alcune cose. Era una donna molto intelligente. Ad un certo momento a casa nostra si erano cominciate a tenere delle riunioni, a cui partecipava tanta gente povera, e nelle quali si leggevano libri, si parlava, si mitizzava il comunismo.
Marilena: Lei aveva già una spiccata intelligenza, in questo somigliava a suo padre che, se avesse studiato, chissà cosa avrebbe potuto fare. Pensa che lo soprannominavano l’avvocato per il suo parlare fluente, per il suo carisma.
Rosina: Lui era analfabeta, a quei tempi era normale esserlo, e quando aveva saputo che sarebbe partito per il servizio militare aveva detto a sua madre che non le avrebbe scritto perché non voleva che lo scrivano sapesse i fatti suoi. Allora la madre lo aveva mandato per due mesi da una vicina che sapeva leggere e scrivere. E lui imparò in fretta. Gli piaceva leggere, spesso anche agli altri. Leggeva I miserabili, La sepolta viva, I promessi sposi. Maria aveva il carattere e il temperamento di suo padre.

E che cosa diceva la gente, quando Maria si stirò davanti al camion?
Rosina: Ci fu chi si chiese perché lo avesse fatto. Tanti la calunniarono accusandola di essere una puttana perché tutti pensavano che fosse l’amante di Erasmo Santangelo. Nessuno aveva invece capito che quell’uomo per lei era un maestro. E quando lui si è trovato in difficoltà è stata lei ad aiutarlo a fuggire. Maria ha pagato un prezzo carissimo per essere stata coerente con le sue idee.

Parliamo adesso degli ultimi anni della sua vita, quando Maria si è ammalata.
Nel 1973 era tornata dagli Stati Uniti e si era stabilita a Roma. Nel 1982, saputo della morte improvvisa del suo ex-compagno, era tornata a Los Angeles per vendere la casa che avevano comperato insieme. Pensava di rimanerci pochi mesi ma sono dovuti passare cinque anni prima che potesse venderla. Sono stati anni tremendi di solitudine, amarezze, lotte ed è li che ha cominciato ad ammalarsi. Quando sono  andata a prenderla all’aeroporto, sembrava una vecchietta!
I medici pensavano che si trattasse di diabete e invece dopo un anno hanno capito che, nonostante non ci fosse il tipico tremore, era malata del morbo di Parkinson.
Ancora per un paio d’anni è potuta uscire, aiutandosi con il bastone. Poi non ce l’ha fatta più ed è dovuta rimanere in casa. Gli ultimi tre anni sono stati terribili, aveva perso la sua lucidità mentale. Per me è stato un trauma vedere una donna di un’intelligenza così viva e una mente così brillante ridotta in quello stato.
All’inizio della sua malattia, quando la accudivo, lo facevo quasi per dovere, c’era come un filo di rancore nei confronti di questa donna che, in un certo senso, mi aveva tolto una parte della mia vita sradicandomi con continui spostamenti. Poi, quando la malattia si è evoluta, il rapporto è cambiato ed è stato come se io fossi diventata la mamma e lei la figlia, l’ho accudita con amore.

Che cosa resta adesso di tua madre?
Resta nei nostri cuori la figura di questa donna meravigliosa che con il suo esempio di coraggio e di coerenza ha immortalato i moti ragusani dei “Non si parte”. Restano i suoi tre libri pubblicati dalla Sellerio, cento pensieri poetici inediti, le tesi di laurea che hanno scritto su di lei.

E adesso c’è anche la Rotonda di Ragusa. Che cosa provi?
Personalmente nulla, solo la gioia del riconoscimento pubblico dopo tante incomprensioni. Le soddisfazioni le ho trovate altrove, nelle interviste, nei libri, nelle manifestazioni per ricordare Maria. Lei diceva sempre «Io mi batterò fino all’ultimo perché venga riconosciuta la verità: la rivolta dei “Non si parte” non è stata una rivolta fascista! È stata invece una sommossa popolare contro la miseria e la guerra». Questo è quello che conta.