ARTICOLI
Donne Méditerranéennes
Operaincerta, 14 ottobre 2006
Interviste a due protagoniste del festival “Les MÉditerranÉennes” di ArgelÈs-sur-Mer.
Sul numero scorso Operaincerta ha dato ampio risalto al festival “Les Méditerranéennes” che si tiene ogni anno, in agosto, ad Argelès-sur-Mer, in Francia, vicino a Perpignan.
Una delle cose che più ci ha colpito è stata la considerevole presenza femminile sul palco.
Questo mese vi proponiamo le interviste a Pauline Croze e Agnès Bihl, due giovani cantautrici che in Francia sono già piuttosto note e amate.
1. Pauline Croze
È la prima volta che suoni al festival “Les Méditerranéennes”. Perché hai scelto di partecipare a questo festival?
Mi piace suonare ai festival, mi piace l’idea di dividere il palco con artisti differenti; è anche un modo per dire che la musica non è solo l’industria del disco ma è anche incontrarsi, scambiarsi esperienze, mescolarsi. A volte poi, da questi incontri, nascono ispirazioni interessanti. Ma questo dipende dai gruppi che suonano, dall’atmosfera che si respira.
Sono venuta qui perché il posto è bello, perché è un pubblico che non conosco. Io, tutto sommato, sono all’inizio della mia carriera, so che ho ancora molta strada da fare, ma essere qui è un’occasione per avere la conferma che c’è un pubblico che viene per me. E poi il nome del festival mi evoca qualcosa di caldo, di caloroso, di vivo.
Sappiamo che nella scorsa primavera sei stata in tournée in Cile. Che genere di esperienza è stata?
Laggiù ho fatto diversi concerti ed è stata una bella esperienza. Il pubblico venuto ai concerti era misto: c’erano iscritti all’Alliance Française (un’associazione per la promozione della lingua e della cultura francese, ndr), dunque persone che capivano il francese, e cileni che non mi conoscevano. Tutto è andato bene perché chi non capiva le parole era attento alla musica, come se l’articolazione delle melodie e il calore degli strumenti parlassero per loro. In effetti il contatto tra me e il pubblico è stato molto forte, addirittura direi che in uno di quei concerti ho avuto una delle più belle accoglienze che mi sia mai capitato di ricevere sinora. Mi piacerebbe ritornarvi.
Sei mai stata in Italia? Conosci qualche artista italiano?
Mia madre è italiana, di Roma, e per questo motivo ogni tanto vado in Italia, per trovare i miei nonni. Purtroppo non conosco nessun artista italiano!
Quale ruolo attribuisci alla cultura nella nostra società?
La cultura, in particolare arti come il cinema, la canzone o la scrittura, sono molto importanti perché riescono a “decifrare” le situazioni che normalmente si vivono nella vita di tutti i giorni. È un modo per esteriorizzare cose e sensazioni, è un modo per espellere ciò che non sempre riusciamo a gestire. Uno scrittore, non ricordo il suo nome, amava dire che se non avesse fatto lo scrittore sarebbe finito in prigione perché certamente sarebbe diventato un assassino. Sono pienamente d’accordo con lui. Un cosa che mi piace della cultura, e in particolare dell’arte, è che riesce a trasformare una pena, un odio, una sofferenza in qualcosa di costruttivo, di positivo. La cultura è una scappatoia e un’identità.
Cosa c’è nel futuro di Pauline Croze?
Dopo questa tournée credo che mi riposerò un po’ e all’inizio del 2007 comincerò a lavorare al mio nuovo album. Ho già una quindicina di melodie a cui abbinare un testo.
Di quanto tempo hai bisogno, in genere, per scrivere un testo?
Ci sono testi che arrivano in un giorno e altri che necessitano di una settimana o di un mese. A volte lavoro su più canzoni contemporaneamente. In effetti non c’è una regola.
Come mai alle tue canzoni collaborano tanti musicisti?
Mi piace collaborare con gli altri musicisti, mi piace far arrangiare ad altri le mie canzoni. Quando scrivo una canzone non penso a come arrangiarla. Il fatto che ci pensi una persona “terza”, per me, è un arricchimento.
Tra il testo e la musica, a quale componente attribuisci maggior importanza?
Sono importanti allo stesso modo! Mi piace però che la musica abbia influenze a volte latine, a volte africane, ma sempre nel rispetto della tradizione della canzone d’autore francese. Personalmente, quando scrivo una canzone, parto dalla musica, dalla melodia, il testo viene sempre dopo.
2. Agnès Bihl
Agnès, il tuo è uno stile particolare, le parole delle tue canzoni sono molto ironiche, graffianti. È una scelta?
Non è una vera e propria scelta. Ciascuno di noi ha il suo modo di esprimersi, il mio modo è attraverso le canzoni. Quando parlo di qualcosa cerco di farlo nel modo più naturale possibile. Non scelgo di essere ironica o graffiante, questo è il mio modo di essere. Penso che l’ironia sia la chiave giusta per riuscire a parlare di tutto.
Dunque è l’ironia la via attuale verso l’impegno?
È la mia! Per esempio, in Merci maman, merci papa, ho detto che milioni di bambini mangiano carne solo quando si mordono la lingua. È un punto di vista, è il mio modo di dire le cose. Se invece avessi semplicemente detto che è brutto che nel mondo ci siano bambini che muoiono di fame non sarebbe stata la stessa cosa, non avrei aggiunto nulla a ciò che si sa già, a ciò che tutti dicono. Se faccio una canzone su questo tema è per portare un po’ di sensibilità, perché la gente possa essere più sensibile verso problemi come questo. Non ho voglia di fare canzoni che strillano per parlare di cose gravi.
Quando pensi che uscirà il tuo terzo album?
Non lo so ancora. Ci sto lavorando. Stasera canterò tre canzoni che non sono contenute nei due miei primi album e che potrebbero dunque finire nel terzo…
Cos’è questo, un modo per testare le canzoni prima di, eventualmente, inciderle?
Mi piace fare dei dischi ma io scrivo per i concerti, forse perché ho cominciato a cantare nella metropolitana, per la strada, nei bar. Era una vita grama, ma è stato così che mi sono innamorata del mio mestiere. Io mi sento un’artista da palcoscenico e per me una canzone esiste solo quando la canto sul palco. Tempo fa mi è capitato di scrivere una canzone sul nucleare per una compilation prodotta da Greenpeace. C’era poco tempo e così ho inciso la mia canzone senza averla mai cantata dal vivo. A tanti è piaciuta ma molti non la conoscono ancora perché non l’ho mai eseguita in concerto. Questo mi è servito da lezione e adesso non incido mai una canzone senza prima averla suonata dal vivo. Che cosa c’è in una canzone? C’è la sensibilità dell’autore e del compositore ma è poi la reazione del pubblico che le dà il senso definitivo. Tante volte una frase che per me è divertente viene accolta dal pubblico con un semplice sorriso mentre un’altra che per me è solo un passaggio fa sbellicare dal ridere. Questo significa che una canzone è fatta per essere cantata, e ce ne possiamo fare un’opinione solo quando è cantata in pubblico. E in questo il ruolo del pubblico è fondamentale.
Come ti senti prima di un concerto?
Da otto anni calco le scene ma mi sento come se fossi ancora una debuttante. Spero di sentirmi così anche tra dieci o vent’anni.
Adesso facciamo anche a te la consueta domanda: che rapporto hai con l’Italia? Conosci qualche artista italiano?
Beh, mia figlia è metà francese e metà italiana perché suo padre è italiano, di Perugia. Conosco e amo Fabrizio De Andrè. È magnifico! Vi racconto una cosa divertente? Ho scoperto la canzone francese proprio attraverso De Andrè. Avevo diciannove anni e uscivo con un italiano che ascoltava spesso La marcia nuziale (una canzone di Georges Brassens tradotta e cantata da De Andrè, n.d.r.). Appena ho potuto ho comprato un disco di Brassens e adesso Brassens è il mio principale riferimento, la mia isola.
Dunque ti ispiri alle canzoni impegnate di Brassens, quando scrivi le tue?
No, le canzoni Brassens non sono solo impegnate. Mi piace pensare a lui come a un piatto nel quale ci sono tanti ingredienti. Brassens non è solo un cantante impegnato; nelle sue canzoni c’è anche la poesia, c’è l’ironia. E anche le mie non sono solo canzoni “impegnate”.
Insomma, per te quant’è importante l’impegno?
Abito a Parigi, alla porta di Clignancourt, e vedo tante donne con il velo, e tante ragazzine che si prostituiscono. Tutto ciò non mi impedisce di dormire ma mi tocca e mi spinge a scrivere canzoni. Approfitto del fatto di poter salire su un palco, senza qualcuno che mi tolga la parola, approfitto del fatto di far parte di quella minoranza di donne di questo pianeta che ha la possibilità di esprimersi senza, per esempio, finire lapidata. Il mio non è un impegno femminista, io sono semplicemente la mamma di mia figlia e la figlia di mia mamma e questo mi basta per fare quello che faccio e dire quello che dico.
L’enceinte vierge è una canzone molto dura (probabilmente in Italia non avresti potuto cantarla dappertutto). Che idea hai della religione, e della Chiesa?
La religione e la Chiesa sono due cose molto diverse. In questa canzone io non attacco assolutamente la fede, non ho nulla contro le religioni. Invece ho molte cose da ridire riguardo alle Chiese che fanno una lettura arbitraria dei testi.
Trovo, ad esempio, incredibile, come fa la chiesa cattolica, non consentire l’uso dei preservativi in quei paesi dove l’AIDS è enormemente diffusa.
Credo che al Papa non riguardi né parlare di aborti né di preservativi. Quando lo fa mi irrita.
E in quale testo è scritto che le donne debbano uscire velate, che non debbano usare i preservativi, che una persona possa essere sgozzata? Sono tutte cose che combatto, mentre in me c’è il massimo rispetto per la fede delle persone.
Mi piace dire che Dio mi ha fatta atea. E il mio ateismo riguarda solo me, è una cosa mia, privata. Non voglio che sia un obbligo per tutti e allo stesso modo vorrei che le persone che credono non fossero settari, così come non lo sono io. L’enceinte vierge non è una canzone contro la religione quanto piuttosto una canzone contro il settarismo delle persone che sono religiose. Fortunatamente non tutte sono settarie.
[con Patrizia Boschiero]