ARTICOLI
Suoni Méditerranéennes
Operaincerta, 14 settembre 2006
ArgelÈs-sur-Mer, tre giorni di musica en plein air nel parco di Valmy con uno sguardo al Mediterraneo.
Da mercoledì 9 a venerdì 11 agosto (dalle ore 19 all’una di notte e oltre), ci si è potuti abbandonare a un trabordante mare di musica, francese ma non solo, nell’ambito della decima edizione di un festival che spazia dal rock alla world music, dal punk al rap, dal reggae allo ska, dalla canzone francese d’autore a raffinati suoni jazz passando per il blues, alternando scatenati gruppi popolari, che incitano il pubblico a saltare con loro dal primo all’ultimo minuto della loro presenza sulla scena, a giovani donne che inducono a riflettere, magari sorridendo, o anche loro a muoversi e gridare. Un gioioso accogliente meticciato musicale, per di più intergenerazionale.
Come hanno ribadito i due organizzatori e direttori del festival, Geneviève Girard e Bernard Batzen, il loro (ne parlano quasi come di un figlio) è un evento musicale all’insegna della mescolanza di generi e di pubblico, gusti, età, dove però tutti gli artisti chiamati a salire sul palco, anzi sui due palchi, sono accomunati da una notevole (in alcuni casi davvero strabiliante) presenza scenica, da un forte gusto dello spettacolo dal vivo, dell’incontro diretto con il pubblico. Insomma, energia dispensata con generosità, e non invano vista la coinvolgente atmosfera festosa che ha caratterizzato la gran parte delle tre serate, salvo forse le fasi di avvio che hanno visto svantaggiati gli artisti destinati ad aprire la serata, o meglio il caldo tardo pomeriggio, sul palco secondario della cosiddetta nouvelle vague, di fronte a un pubblico un po’ distratto, ancora in arrivo, preso magari dal cambio degli euro in valmy per usufruire degli stand gastronomici e da una passeggiata esplorativa nel parco, anziché subito concentrato sull’offerta musicale di volti nuovi (e non solo per due leggermente spaesati italiani, probabilmente gli unici “stranieri” in giro, cioè né francesi né catalani!).
Nell’arco delle tre giornate si sono così alternati, tra il palco “minore” (che in non poche occasioni si è rivelato degno invece della maggior attenzione) e la grande scene, in una sequenza di sei-sette concerti per sera, musicisti di diversa estrazione musicale. E, da mezzanotte in poi, per i più resistenti (o incontentabili), musica anche sulla spiaggia di Argelès, animata da dj selezionati.
Il festival si svolge nel parco del castello di Valmy, a due passi dalla cittadina di Argelès-sur-Mer, nel sud della Francia, quasi al confine con la Spagna. I cancelli del parco vengono aperti alle 18 in punto e il pubblico, entrando, s’imbatte subito in una sorta di sportello bancario dove cambiare gli euro in valmy (cambio 1 a 1)! Sì, perché la valuta corrente al festival, come se questi tre giorni di musica fossero extraterritoriali, è il valmy. Dunque coda all’ingresso e coda al cambio. Ma qui l’attesa è resa piacevole da una band a fiati (tra i dieci elementi ci sono però anche basso, banjo e batteria) che allieta i presenti. Una banda che suona e si muove, per fare un paragone comprensibile agli italiani, come una giovane Banda Osiris.
Alle 19 precise (si è mai vista una cosa del genere in Italia?), sulla scene nouvelle vague sale il duo femminile Trash Aka L (L. Laurence Martinez e Séverine Gautheron): chitarra e violino elettrici, con basi preregistrate, votato al trip hop-rock-punk-elettronico (soprattutto molto trash). Le due giovani donne, selezionate dal Victoire 2 di Montpellier (sulle modalità di selezione si veda l’intervista ai direttori del festival), hanno l’onore ma soprattutto l’onere di aprire il festival. Di certo iniziare in pieno pomeriggio, quando la maggior parte dei presenti è rivolta al palco principale dove apparirà mezz’ora dopo la prima tête d’affiche, il primo grosso nome, non dev’essere certo facile, e loro ce l’hanno messa tutta. Nonostante questo, noi, dato il genere, saremmo passati rapidamente al seguito. Tra i loro brani vi segnaliamo Come back to me.
Questo primo concerto dura mezz’ora (agli artisti nouvelle vague sono concessi solo 30 minuti di esibizione, mentre le têtes d’affiche, possono suonare da un’ora a un’ora e mezza, e forse anche più) e poi le luci si accendono sulla grande scene, dove gli organizzatori danno il benvenuto ai festivalieri.
Ed ecco Ilene Barnes, una splendida cantante neroamericana, voce alla Joan Armatrading (ma il timbro ricorda anche Tracy Chapman), che ci offre uno splendido spettacolo, nel quale esprime un’energia e un carisma particolari, potenza vocale e scenica inusuale. A vederla muovere sul palco, immaginiamo che tra i passaggi di quest’artista ci siano anche il teatro e la danza contemporanea. La rivedremo, con autentica gioia, l’indomani in un set acustico per la forzata assenza degli zZz, bloccati all’aeroporto di Londra dalle misure antiterrorismo di emergenza scattate proprio il 10 agosto. Anche in acustico la forza e insieme la raffinatezza stilistica e la ricca umanità di Ilene emergono in modo coinvolgente e meravigliano per la seconda volta. Il suo gruppo è composto da due chitarre (una è la sua), basso, batteria e tastiere. Tra le canzoni da segnalare: Yesterday comes (che dà il titolo anche al suo recente, terzo, album; i precedenti sono Set You Free, 2000, e Time, 2003), e una coraggiosamente intima Jennifer. I temi delle sue canzoni affrontano le grandi contraddizioni di questo nostro tempo, sul piano individuale e sociale.
Nel frattempo il pubblico continua ad affluire, alla fine della serata saranno circa 5.000. In successione, senza soluzione di continuità (un’altra caratteristica di questo festival, quella di non lasciare un attimo di silenzio tra un artista e l’altro) si esibiscono gli altri.
Miquel Gil, artista catalano, selezionato dal Mercat de Musica Viva di Vic (Catalogna spagnola), mescola sapientemente i ritmi popolari valenziani con il flamenco (in Italia i ragusani hanno avuto modo di conoscerlo grazie alla rassegna “Note di notte”, per cui si è esibito tre giorni dopo). Di quest’autore, tra i più autenticamente “Mediterranei” del festival, segnaliamo Katà, che dà anche il nome al suo ultimo album. La sua voce, viene paragonata a quella di Tom Waits, niente male! Ma grazie a lui ci pare che ad Argelès sia arrivata anche un po’ di Grecia. Sicuramente da riascoltare, anche nel proprio salotto invernale…
Cambiamo scena e genere, ma la qualità e l’interesse restano alti: Pauline Croze, giovane e minuta cantautrice parigina dalla voce fragile e insieme profonda, caratterizzata da uno stile molto personale, intimista e spesso malinconico, che a tratti ricorda (lei e la sua chitarra) la nostra, più ovviamente mediterranea, Carmen Consoli. Confessiamo che molte sue melodie ci si sono appiccicate addosso, ma non è affatto semplice ripeterle: una per tutte Dans la chaleur des nuits de plein lune, sue musica e parole (nelle quali, sin dal titolo, si espone).
Bombes 2 Bal, gruppo selezionato dal festival Alors Chante di Montauban, è nato per far ballare il pubblico in modo comunitario e mescola la musica occitana a certe sonorità proprie del nord del Brasile usando strumenti tradizionali insieme a fisarmoniche e tamburi. Da ascoltare Chat perché.
Jean-Louis Aubert, cantautore osannato dal pubblico, già leader negli anni ottanta del gruppo rock-punk Téléphone, ha chiuso la prima serata tra l’entusiasmo generale, anche se a noi la sua vivace performance non ha particolarmente convinto, sembrandoci piuttosto standardizzata su sonorità rock di facile effetto. Nulla di nuovo.
La seconda serata, più nettamente dedicata alla musica “rumorosa”, si è aperta con l’interessante esibizione del gruppo rap, solo vocale, dei Que de la Bouche (che vuol proprio dire “soltanto la bocca”; loro sono Ange B. e Wab), duo, selezionato dal Bikini di Tolosa, che unisce la perfetta padronanza del genere a un’ironia che trasuda da ogni brano. Segnaliamo Le son des bruits, molto divertente.
Poi è stata la volta de La Troba Kung-Fu (al posto degli Ojos de Brujo, rimasti a casa per l’improvvisa malattia della cantante), un gruppo sullo stesso stile dei più famosi Ojos (flamenco in versione moderna con sonorità hip hop, funk, jazz e latine) ma che deve fare ancora molta strada per arrivare ai loro livelli; dunque nuovamente Ilene Barnes in un magico set acustico.
Quindi i Babylon Circus, gruppo lionese di reggae e ska che ha costruito la propria fama sulle esibizioni dal vivo, che non sono altro che divertenti esplosioni di energia (da ascoltare Dances of Resistence) e l’Electric Octopus Orchestra, un duo chitarra e batteria, selezionato da El Mediator di Perpignan, che propone un rock acido febbricitante, a tratti inascoltabile (in particolare quando si servono di un megafono per “cantare”). Segnaliamo Pimp Chap.
A chiudere la serata pensano i Dionysos, giovane gruppo rock diventato rapidamente leggendario per le scatenate esibizioni sul palco, per la carica decisamente fuori del comune e una buona dose di follia del cantante (la performance comprende un simpatico “scivolamento” per almeno una decina di metri sopra le teste del pubblico saltante; da brivido, soprattutto per gli organizzatori!). Il loro stile, che a tratti ricorda i Cure, è difficilmente definibile talmente vari sono i loro brani. Il pubblico è inevitabilmente catturato e anch’esso scatenato. Di questo gruppo, da non dimenticare, segnaliamo Tes lacets son des fées.
L’ultima serata riserva una serie di ottime sorprese. L’apertura è affidata a Roger Mas, raffinato cantautore catalano, selezionato dal Comune di Barcellona (che raggruppa diversi club), che per molti aspetti (la voce, lo stile, i suoni) ricorda il nostro Fabrizio De Andrè, soprattutto lo sperimentatore etnico ante litteram di Creuza de Ma, che del resto Mas ha dichiarato di amare molto. E nel caso di questa apertura è stato davvero un peccato che il pubblico fosse ancora in fase distratta. Bello già il titolo del suo nuovo album, Mistica domestica. Vi invitiamo ad ascoltare L'home i l'elefant.
Sul palco grande si quindi è esibita Agnès Bihl, cantautrice che propone in modo originale e accattivante sia dal punto di vista teatrale che musicale i suoi testi, caratterizzati da un’ironia a tratti feroce, arguti, graffianti. Segnaliamo Merci Maman, Merci Papa, che è anche il titolo del suo ultimo lavoro. “Des millions d’gosses mangent de la viande juste quand ils se mordent la langue...” (Milioni di bambini mangiano la carne solo quando si mordono la lingua…). Ma è senza dubbio il suo modo di cantare che li fa arrivare a destinazione i suoi testi. In un certo senso è con la Bihl che questo festival ci porta più vicino a quello che nel nostro immaginario può essere oggi il cuore (o uno dei cuori) dell’“autentica” chanson française.
Nouvelle vague: Fatche d’Eux, duo chitarra e fisarmonica (Alain Arsac e Jean-François Veyran), segnalato dal festival Les Suds di Arles, cantano, in uno stile folk molto personale, la vita quotidiana del sud della Francia. Vi invitiamo all’ascolto di La leçon.
Ed è la volta di Bénabar, altro cantautore dal grande successo di pubblico, che racconta con le sue canzoni, in modo anche musicalmente piuttosto semplicistico, la realtà francese. In certi momenti ci è sembrato di essere di fronte a un Gigi d’Alessio francese, ma non c’è che dire, la folla di Argelès esultava, e Bénabar pure.
Diversamente la Nouvelle vague ci offre l’originale ed elegante proposta musicale di Lise, artista giovanissima, selezionata direttamente dagli organizzatori del festival, timidissima quando si trattava di parlare al microfono ma tutt’altro al momento di cantare, accompagnandosi (ma il termine è un po’ riduttivo) con il solo pianoforte, i propri brani che, se vogliamo cercare di catalogarli, nuotano nelle ampie acque del jazz. Ci piacerebbe riascoltarla nell’atmosfera più raccolta di un teatro. Il brano scelto è Tourne.
L’ultimo grande nome in scaletta è Olivia Ruiz, anche lei molto giovane, che al suo secondo album già si trova a convivere con un notevole successo di pubblico, oscillando tra brani intensi e musicalmente interessanti e melodie più facili arricchite da una ritmica energica ma talvolta ripetitiva. Dotata di un notevole fascino e di una voce molto particolare, che usa in maniera professionale e accattivante, ha chiuso il festival in modo degno, salutata da oltre 6.000 spettatori. La canzone che segnaliamo è J’traine les pieds, ma è con l’unico brano di flamenco che ci ha conquistati.
Infine, palco secondario, appendice di gran chiusura con un ritorno al Mediterraneo forse più genuino grazie alla musica di Akli D, anche lui selezionato dagli organizzatori, cantante di origine berbera (il cui nuovo album Ma Yela è prodotto da Manu Chao) che ci ha proposto con gioia le sue canzoni, testi impegnati sul fronte sociale e dell’integrazione culturale e ritmi che inducono al ballo. Vi invitiamo ad ascoltare C’facile.
Per chiudere anche questo lungo racconto, qualche parola sul contesto di un festival che, come si diceva, si svolge in una cittadina sul mare, al confine con la Spagna, nella Catalogna francese, una regione in cui tutto rinvia all’identità catalana, dalle bandierine a strisce gialle e rosse, alle scritte spesso in doppia lingua, all’accento della gente. In realtà potremmo dire di non essere in Francia quanto piuttosto in Catalogna. E gli abitanti del posto, allo sguardo di chi vi trascorre qualche giorno, pare abbiano preso il meglio delle due nazioni, in una magnifica sintesi. Magnifica è anche la sede dei concerti, il parco di un castello alle porte di Argelès; l’unico appunto che si può fare è lo sterrato in cui si dibatte il pubblico che balla, sollevando nuvole di polvere. Il cantante dei Babylon Circus ha detto “ho sempre conosciuto l’espressione mangiare polvere, adesso capisco cosa vuol dire”. L’abbiamo capito anche noi.
L’organizzazione, stand gastronomici inclusi, è impeccabile. Molto positiva la collaborazione con il WWF, che prende il via da quest’edizione. Accanto al bel logo del festival, una sorta di maschera primordiale, appare dunque il panda; interessanti pannelli didascalici si inseriscono tra birre e panini; ma, soprattutto, una parte dei ricavi dei biglietti viene devoluta all’associazione ambientalista per specifici progetti in difesa della biodiversità, marina in particolare. Ogni passo, anche minimo, per una maggior sensibilizzazione sui temi ambientali non può che essere applaudito, e quando un evento pubblico raggiunge dimensioni di un certo peso nell’incontro con un pubblico fatto soprattutto di giovani, scelte di questo genere possono forse essere considerate non solo più generalmente auspicabili ma anche socialmente dovute.
Per tornare alla musica, sì, Argelès ha risposto positivamente alle aspettative di una grande festa musicale, senza dubbio ricca e varia. La nostra visione della scena francese contemporanea si è senza dubbio arricchita e fatta più realistica. Se nel caso di alcune performance abbiamo rimpianto di non aver partecipato alle prime edizioni del festival, nelle quali forse ci si accontentava di un pubblico meno numeroso per avere una maggior omogeneità di qualità e di stile “mediterraneo”, è vero però che anche il pubblico esultante ai salti di Bénabar è stato uno spettacolo nello spettacolo. Inoltre, la scelta di offrire, con un solo ingresso, la possibilità di conoscere artisti completamente sconosciuti o che comunque appartengono a mondi musicali diversi da quelli normalmente frequentati si è rivelata vincente e che sarebbe ingeneroso etichettarla come commerciale. Il pubblico cresce, è cresciuto, e se il piatto offerto presenta differenti specialità, ognuno di noi si può scoprire desideroso e capace di assaggiare e ascoltare sapori anche molto diversi tra loro. Un festival è, giustamente, anche questo. Del resto, nessuno dei cuochi, sulla scena, si è risparmiato.
[con Patrizia Boschiero]