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Aborto, i dati iblei
La Città, 11 marzo 2006
In provincia di ragusa dati stabili. Ma occorre considerare la presenza sempre maggiormente consistente di donne extracomunitarie
L’aborto è sempre stato un tema dibattuto e controverso. Da qualche tempo, se possibile, lo è ancora di più. Prima del 1978, in Italia esisteva solo l’aborto clandestino. La gente comune si rivolgeva alle cosiddette mammane, donne che praticavano l’aborto in casa, ad un costo relativamente abbordabile e senza alcuna sicurezza dal punto di vista igienico e sanitario. Chi poteva, invece, si rivolgeva alle cliniche private dove, in maniera sempre clandestina, medici senza scrupoli lo praticavano a costi decisamente più alti. Chi, invece, non aveva problemi di budget si rivolgeva alle cliniche di Londra o di altri paesi europei. Nel 1978, la legge 194 ha legalizzato, a certe condizioni, il ricorso all’aborto. Poi, nel 1981, un referendum proposto dai Radicali ha allargato i casi per cui era possibile abortire, mentre un referendum di senso opposto, proposto dal Movimento per la vita, è stato bocciato. Oggi, a quasi trent’anni dalla sua nascita, la legge 194 sembra godere di buona salute, nonostante da più parti, leggi Ministero per la Salute e gerarchie vaticane, nel corso di questi anni abbiano cercato di ridimensionarla. Tanto per restare ai nostri giorni, la commissione parlamentare, chiesta a gran voce dagli antiabortisti e che avrebbe dovuto appurare la non applicazione integrale della 194, ha concluso i suoi lavori senza riuscire a dimostrare il mal funzionamento e la faziosità della suddetta legge.
Ma cosa deve fare una donna che vuole interrompere una gravidanza? Innanzitutto le occorre un certificato, rilasciato da un Consultorio familiare o da un medico privato, va bene anche il proprio medico curante, che autorizzi l’aborto. Per ottenerlo, almeno dal punto di vista teorico, bisogna sottoporsi a colloqui con assistenti sociali, psicologi e medici. Considerando che, per ottenere questo certificato, attualmente solo il 30% delle donne si rivolge alla rete dei Consultori, viene da pensare che spesso il certificato viene rilasciato saltando questi passaggi. Ma forse è anche normale che sia cosi, visto che comunque, se la donna è decisa ad andare avanti, nessun medico potrà opporsi alla sua volontà.
Una volta ottenuto il fatidico certificato, la donna deve attendere una settimana, un periodo che dovrebbe servire per un’ulteriore riflessione, dopo di che può presentarsi in ospedale per sottoporsi agli esami di rito e per farsi inserire nella lista d’attesa per l’intervento.
Viene evidenziato come nell’ultimo triennio il ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza (Ivg) si sia stabilizzato. Questo non si può leggerlo dalla tabella ma è il dottor Salvatore D’Amanti, responsabile dei Consultori del comprensorio di Ragusa, a dirci, forte della sua esperienza sul campo, che si assiste a un forte calo degli aborti praticati su donne italiane mentre, contemporaneamente, c’è un aumento esponenziale degli aborti praticati su donne extracomunitarie. Attualmente su 100 aborti nella nostra provincia, 38 sono su straniere e 62 su italiane. Dunque le donne ragusane ricorrono meno all’aborto e ciò è dovuto, evidentemente, ad una maggiore conoscenza degli anticoncezionali ma anche ad una maggiore vicinanza dei Consultori. Solo nel capo luogo, circa 15.000 donne sono regolarmente seguite dai medici e dagli assistenti sociali delle due sedi comunali. E se a Ragusa le donne che frequentano il Consultorio sono quasi tutte italiane, nelle realtà più piccole, come a Santa Croce Canterina, la percentuale di donne straniere arriva anche al 10% del totale (oltre 250 su 2800 donne). Questo vuol dire che il passaparola, nelle comunità
straniere, funziona bene come anche i servizi offerti dal Consultorio. Ricordiamo che, oltre alla certificazione per l’aborto, vi si organizzano, tra gli altri, corsi di preparazione al parto, campagne sulla menopausa e sulla prevenzione del tumore sul collo dell’utero, corsi di educazione sessuale per i giovani. Iniziative che in sostanza risultano efficienti.
Dunque il Consultorio familiare è il posto dove si lavora per la prevenzione, è questo lo spirito della Legge 194, anche se spesso passa il messaggio, sbagliato, che in questi luoghi si favorisce l’aborto.
E per confermare il trend positivo che negli ultimi vent’anni ha portato la nostra provincia a dimezzare il numero di aborti praticati, bisogna continuare con la prevenzione ed estenderla anche ai giovani e alla popolazione straniera che vive nel nostro territorio. Non è infatti raro che facendo l’anamnesi a donne che chiedono l’Ivg se ne scopra l’ignoranza nel campo della contraccezione.
Per fortuna, a quanto apprendiamo dalla nostra inchiesta, i giovani stanno pian piano superando questo handicap mentre la fascia di popolazione che attualmente è più a rischio è quella degli extracomunitari. È su di loro infatti che bisogna lavorare. Soprattutto su quelli che non sono organizzati, perché magari vivono isolati, e che non riescono a seguire il passaparola dei connazionali, che è il modo in cui, il più delle volte, i nuovi arrivati riescono a scoprire di quali servizi possono usufruire nei nostri Consultori.