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Poste e impostori

La Città, 25 febbraio 2006

 
Prima precari, poi ricorsisti, ora assunti. Ma il sindacato rema contro e dice "dimettetevi"

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Italiani: popolo di santi, naviganti e postini precari. Ma, mentre tutti vorrebbero essere santi o, al limite, naviganti, non c’è nessuno che ambisca ad essere postino precario. Per questo, chi si trova ad esserlo sta facendo di tutto, e finora con buoni risultati, per perdere l’aggettivo precario, nonostante qualcuno dei precari abbia la sensazione, per usare un eufemismo, che il sindacato stia remando contro. Forse però è meglio cominciare a raccontarvi dall’inizio le tappe di questa che è una tipica storia italiana piena di vizi ed ipocrisie. C’erano una volta le “Poste e Telecomunicazioni” che sono poi diventate “Ente Poste” e che infine si sono chiamate “Poste Italiane S.p.A.”. Pur cambiando nome per tre volte nell’ultimo decennio, questa entità ha avuto un’unica consuetudine: quella di avvalersi di portalettere precari, assunti solo per due o tre mesi per rimediare ad una carenza strutturale di personale, aggirando in questo modo l’obbligo di assunzioni a tempo indeterminato.
All’inizio era l’azienda a stilare una graduatoria, sulla quale non c’era nessun controllo da parte sindacale, e in base alla quale assumere il personale con contratto a termine, senza obbligo di rispetto delle leggi sui contratti nazionali di lavoro.
Poi, con il passaggio a società per azioni, le norme sono cambiate ma i contratti per l’assunzione temporanea sono rimasti quelli vecchi e a partire dal 2000 sono cominciati i ricorsi in Tribunale per renderli nulli  convertirli a tempo indeterminato.
Le prime vittorie, soprattutto nelle Regioni del nord, e internet hanno fatto arrivare la notizia in tutta Italia e così i ricorsi hanno cominciato a fioccare.
Dal 1998 al 31 dicembre 2005 gli assunti a tempo determinato sono stati circa 50.000. I ricorsi finora presentati sono stati circa 30.000, e di questi circa 13.000 sono stati già vinti in primo grado e i ricorrenti stanno lavorando. Per gli altri 17.000 i processi sono in corso di espletamento e arriveranno al primo appello entro il 2007. Secondo Maurizio Buggea, segretario provinciale aggiunto per il settore poste della Slc-Cgil, “l’azienda, dal punto di vista delle risorse umane, ad un certo punto si è trovata in una situazione critica perché si era prefissata l’obiettivo di ridurre il personale a 120.000 unità ma con le sentenze che man mano riammettevano in servizio i ricorsisti si è trovata, in brevissimo tempo, un organico passato da 150.000 a 180.000 unità. A Ragusa, per esempio, le sentenze hanno ormai saturato i posti disponibili per il recapito e per il movimento logistico del Centro Postale Operativo e così i nostri ricorsisti vengono mandati in altra sede, nonostante il giudice obbligherebbe l’azienda a reintegrare i lavoratori nell’ultima sede in cui hanno prestato servizio. E non sempre i criteri con i quali sono scelte le sedi sono comprensibili. Non si capisce perché, ad esempio, un ricorsista è stato mandato a Canicattì visto che c’era un portalettere di Canicattì che da 15 anni fa servizio a Vittoria e che voleva tornare a! proprio paese. La situazione sembrerebbe incomprensibile e invece la cosa è chiara: da parte dell’Azienda c’è l’intenzione di far stancare i ricorsisti per indurli al licenziamento. Il problema è che i ricorsisti non si licenziano perché nel meridione manca il lavoro. Così l’azienda, avendo l’obiettivo di quotarsi in borsa e visto che farlo con 30.000 ricorsi pendenti non sarebbe stato possibile, ha deciso di proporre un accordo ai sindacati”.
L’accordo tra Poste Italiane S.p.A. e i sindacati (Slc-Cgil, Slp-Cisl, Uil-Post, Failp-Cisal, Sailp-Confsal e Ugl-Comunicazioni), firmato il 13 gennaio 2006, prevede che il personale riassunto a seguito di ricorso venga “assunto in forma definitiva”, con l’accettazione, da parte dello stabilizzato, della sede di servizio assegnata e con la rinuncia agli arretrati che ha ricevuto a seguito della sentenza. Significa che i lavoratori dovrebbero restituire fino a 40.000 euro e in un’unica soluzione, e rinunciare ai contributi pensionistici versati dalle Poste fino al momento della riassunzione e ad altre piccole rinunce. La Poste Italiane S.p.A, evidentemente per riequilibrare le tante rinunce che chiede ai lavoratori, rinuncia soltanto ad appellarsi contro le sentenze a lei sfavorevoli. A fronte dì una proposta simile ci saremmo aspettati che i sindacati fossero scesi sul piede di guerra, e forse in un altro Paese lo avrebbero fatto anche prima, considerando che sono migliaia i lavoratori coinvolti in questa faccenda, con loro ci sono anche le famiglie, e che finora sono stati costretti a una vita precaria. Da noi, invece, il sindacato fuma il calumet della pace con quello che, anche in relazione all’accordo proposto, dovrebbe essere la controparte. Ma evidentemente questi sono termini e temi da autunno caldo e noi, ormai, viviamo in una società che ha di fatto reso regolare il precariato.
A tutto ciò si deve aggiungere che, aderendo all’accordo, il lavoratore verrebbe licenziato e poi riassunto con un contratto leggermente diverso da quello che hanno firmato i portalettere “anziani”, e che prevede, tra l’altro, una riduzione di quattro giorni di ferie l’anno.
Per spiegare i termini dell’accordo e consigliare i loro iscritti, le organizzazioni sindacali, in queste settimane, hanno organizzato diversi incontri e assemblee con la partecipazione di tantissimi ricorsisti e aspiranti tali. Il problema è che dopo tante parole nessuno dei partecipanti a queste assemblee ha le idee chiare, forse perché non le hanno nemmeno i sindacati, che in alcuni casi hanno consigliato di aspettare le prossime sentenze d’appello per vedere se l’orientamento dei tribunali nel frattempo fosse cambiato, senza considerare che tra un’udienza e l’altra possono passare anche diversi mesi.
Ma allora quest’accordo può essere considerato una conquista per il sindacato e per i lavoratori? A sentire Giorgio Giummarra, segretario provinciale della Slp-Cisl, sembrerebbe di sì. “Quest’accordo non risolverà tutti i problemi, però regolarizzerà la posizione di tutte le persone che hanno vinto la causa e che stanno già lavorando. Il lavoratore dovrà rinunciare alle somme percepite ma sarà assunto a tempo indeterminato e l’Azienda si impegnerà a non proseguire in eventuali appelli. Chiaramente restituire le somme non è piacevole però, quando abbiamo formalizzato i ricorsi, noi non avevamo chiesto che ci fosse alcun rimborso. Sono stati gli avvocati a intromettersi e a far scattare questa “politica del danno” facendo pagare all’Azienda anche il periodo non lavorato. Ma questo non rientrava nei nostri programmi sindacali, noi non volevamo creare una speculazione. E se adesso il lavoratore deve restituire questi soldi, può farlo in modo non doloroso visto che per importi inferiori ai 50.000 euro è possibile rimborsare con rate fino a 8 anni senza pagare interessi. Diciamo che è una situazione che non crea troppi danni”.
Non vi nascondiamo che, in questo momento della discussione, ci è sembrato di avere di fronte un dirigente delle Poste piuttosto che un sindacalista. Anche perché parlare di regolarizzare la posizione di chi è già regolarmente assunto ci appare quanto meno inconsueto. E poi, provate, dopo anni di rinunce e vacche magre, a ritrovarvi all’improvviso con 40.000 euro in banca. Cosa fareste? Non andreste subito a comprare un paio di scarpe per vostra moglie, qualche regalo per i vostri figli, un nuovo computer per voi? E magari non fareste un pensierino al cambio dell’auto dato che la vostra, poverina, soffre ogni volta che la mettete in moto?
Maurizio Buggea, infatti, non sembra concordare con Giummarra.
“Per il lavoratore le rinunce sono molto penalizzanti, mentre per l’azienda c’è solo l’impegno a non presentare appello. Ma siccome gli appelli, almeno in Sicilia, per l’80% le Poste li ha persi, risulta difficile capire quale possa essere il vantaggio di questo accordo. A meno che l’accordo non sia un’uscita da campagna elettorale ma, proprio perché siamo in periodo elettorale, i sindacati non avrebbero dovuto prestarsi a questo tipo d’operazione”.
Ma allora, perché il sindacato ha firmato un simile accordo? Qual è il vantaggio per il lavoratore, visto che gli sono chieste tante rinunce quando l’unica che viene chiesta alla Posta è praticamente inutile dato che finora ha sempre perso gli appelli? La Cisl è, non diciamo nulla di nuovo, da sempre il sindacato più filogovernativo tra tutti i firmatari. Pertanto può essere naturale, da parte di questa organizzazione sindacale, avere un orecchio più sensibile a certe proposte. E poi, essendo il sindacato con il maggior numero di tesserati tra i dipendenti postali, è anche probabile sia riuscito a trascinare verso la firma anche le altre sigle sindacali. Ma, e qui vogliamo essere un po’ più maligni, siamo sicuri che non ci siano anche interessi che ruotano attorno alle agenzie interinali? Non è forse vero che, per esempio, la sede della Cisl di Ragusa ospita al suo interno la filiale di un’agenzia interinale?
E allora, perché sindacati che storicamente sono sempre stati più oppositivi hanno firmato? Buggea si schernisce: “Non me lo faccia dire... le posso solo dire che mi trovo in disaccordo con il mio segretario regionale e con quello nazionale”.
Fin qui abbiamo parlato dei lavoratori che hanno già ripreso a lavorare. Poi c’è la parte di accordo che interessa chi non ha ancora presentato ricorso, chi lo ha perso e chi è in attesa di sentenza. Per questo gruppo, ben più numeroso dell’altro (i ricorsisti sono circa 17.000 ma si potrebbe arrivare a circa 50.000 considerando chi non ha ancora fatto ricorso), è previsto l’inserimento in una graduatoria nazionale che avrà durata valida solo fino al giugno 2009 e dalla quale, quando l’azienda ne avrà necessità, saranno chiamati i nuovi portalettere, per chiamate sia a tempo determinato che indeterminato.
Per accedere a questa graduatoria, ai lavoratori viene chiesto soltanto di non proseguire con i loro ricorsi. Dunque l’accordo potrebbe risultare conveniente, crediamo, solo a quei lavoratori che sono stati riassunti nella propria città di residenza e che non hanno avuto nessun risarcimento per i mesi non lavorati. Ma quanti lavoratori rientrano m questo identikit? Circa 120-150 e cioè solo l’l% dei 12.500 già riassunti. Tutti gli altri avrebbero problemi, perché saranno costretti a restituire i soldi ricevuti, anzi un po’ di più visto che dovranno rimborsare alle Poste Italiane S.p.A. anche la quota di imposte e contributi sui loro stipendi che l’azienda ha versato allo Stato. Secondo i calcoli fatti dalla Cgil, per ogni 1.000 euro ricevuti, il lavoratore dovrà restituirne alle Poste ben 1.500 (anche se, in verità, i soldi sborsati in più dal lavoratore dovrebbero essergli restituiti in busta paga dallo Stato, un po’ alla volta, durante tutta la sua vita lavorativa. Ma su questo non c’è nessuna certezza). Mentre per i 17.500 lavoratori che hanno perso in primo grado e per quelli che hanno lavorato dal 1997 al 31 dicembre 2005 e che non hanno ancora fatto ricorso (si parla di altre 30.000 persone) si apre solo la speranza di essere prima o poi chiamati. Capirete bene che, in questa situazione, pensare di essere assunti a tempo pieno dalle Poste Italiane S.p.A. è pura illusione.
“Io sfido l’Azienda ad assumere nei prossimi 3 anni, a tempo indeterminato, tutte le 30.000 persone”, ha concluso il segretario della Slc-Cgil, “perché nell’accordo non è scritto da nessuna parte che tutte le persone in graduatoria saranno assunte. Invece nel verbale c’è un passaggio ([...] sarà indispensabile ricorrere a soluzioni flessibili e temporanee – correlate alle sottese esigenze tecniche, organizzative e produttive – alfine di evitare che l’inserimento di nuovo personale possa pregiudicare la ricollocazione del personale già stabilmente occupato in azienda), che suona come una minaccia di mobilità per tutti i lavoratori. E una tale minaccia non ha nessun fondamento dato che l’Azienda non è in crisi, avendo chiuso il 2004 con un bilancio in utile. E allora, come si fa a produrre utili e alto stesso tempo minacciare mobilità ?”
Che le Poste siano un’azienda florida ce lo conferma anche Giummarra. “L’azienda Poste è un’azienda dinamica. Io non sono qua per difendere il lavoro dei manager che guidano l’azienda, non è il mio ruolo, però sono stati i lavoratori, con il loro sacrificio, ad avere risanato l’azienda. Non dimentichiamoci che quando è iniziata questa fase dei ricorsi, 1999, eravamo un’azienda con bilanci negativi. Oggi ci troviamo di fronte a un’azienda di cui sempre di più si discute di quotazione in borsa e che ha utili di bilancio. E questo è anche frutto del sacrificio fatto dai lavoratori”.
Ma allora perché firmare un accordo che sembra tutto sbilanciato da una parte? Perché accontentarsi di cosi poco se i lavoratori che chiedono il riconoscimento del proprio diritto al lavoro sono gli stessi che hanno dato un contributo fondamentale al risanamento di Poste Italiane S.p.A.? Perché non si è preteso di avere un piano triennale di assunzioni? E perché la graduatoria dura solo 3 anni quando le previsioni dicono che dal 2011, con il pensionamento di una parte del personale, saranno smaltiti gli esuberi? In questo modo, quanti saranno assunti nei prossimi tre anni? E quanti lo saranno a tempo indeterminato? Considerando che alle Poste il contenzioso con i ricorsisti sta costando circa 385.000.000 di euro, perché non si è scelto di usare quei soldi per alimentare i fondi pensioni dei dipendenti che hanno 30 anni di servizio in modo da accompagnarli alla pensione e fare entrare al loro posto i lavoratori precari?
Noi non abbiamo risposte a queste domande, bisognerebbe porle ai segretari che hanno firmato l’accordo e ai manager della Poste Italiane S.p.A.
Quello che possiamo dire è che, a nostro parere e a parte poche eccezioni personali, da questa faccenda i sindacati non ne escono proprio bene e che un accordo cosi stipulato pare piuttosto una presa in giro.