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Farmaci nei supermercati?
La Città, 11 febbraio 2006
La proposta di legge popolare per poter vendere i farmaci da banco anche nelle farmacie
L’articolo 71 della nostra Costituzione recita che “l’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun un membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli”.
Significa che se qualcuno crede sia utile, ad esempio, consentire la vendita a prezzo libero dei prodotti da banco oltre che nelle farmacie anche nei supermercati, attraverso la raccolta di 50.000 firme si potrà proporre una legge e impegnare il Parlamento a discuterla per approvarla o rigettarla.
Dal 9 gennaio di quest’anno e fino a tutto aprile è quello che i supermercati della Coop stanno provando a fare.
Ma cosa sono i prodotti da banco? Perche le Coop vogliono commercializzarli nei loro punti vendita?
E come mai c’è stata una levata di scudi da parte delle farmacie e dei farmacisti?
La risposta alla prima domanda è semplice: i prodotti da banco sono quei farmaci, come gli analgesici, le pomate o i disinfettanti per la gola (Cibalgina, Moment, Iodosan, Fastum gel giusto per fare qualche nome commerciale) che non necessitano di prescrizione medica per il loro acquisto e che possono essere liberamente pubblicizzate dalle case farmaceutiche. Per le altre domande, invece, bisogna fare alcune riflessioni.
Le Coop, e quindi anche la catena che ne porta il logo, sono cooperative nate dall’unione dei consumatori e hanno lo scopo dichiarato di calmierare il costo dei prodotti a vantaggio degli stessi consumatori. Quindi, la richiesta di poter vendere i prodotti da banco è dettata dall’intenzione di risparmiare ai consumatori il salasso cui vengono sottoposti tutte le volte che acquistano un analgesico o uno sciroppo per la tosse.
“In Italia – ci ha spiegato Guglielmo Palazzolo, il presidente del consiglio di amministrazione della cooperativa di consumo “1° maggio” di Scicli che ha diversi punti vendita sia dentro che fuori la provincia di Ragusa – il costo dei prodotti da banco è tenuto artificiosamente elevato dalla chiusura del mercato della vendita dei farmaci. Se i prodotti da banco potranno essere venduti nei supermercati, il loro costo si abbasserà notevolmente e a trarne vantaggio saranno i consumatori”.
Parole sacrosante, sia perché in Italia i prezzi di questi prodotti sono mediamente più elevati che nel resto dell'Europa, sia perché da anni gli economisti non fanno altro che dirci che la soluzione a tutti i mali è la liberalizzazione del mercato. (Anche se, pensando agli esigui vantaggi che abbiamo ottenuto in settori come quello della telefonia o dei carburanti, ci chiediamo se sia veramente così).
Questa possibile liberalizzazione di una parte del mercato dei farmaci fa invece sobbalzare dalle loro comodo poltrone tutti i farmacisti italiani. Secondo il dottor Luigi Bianculli, presidente di Federfarma iblea, l’associazione dei titolari di farmacia della provincia di Ragusa, in questo modo, oltre a mettere a repentaglio l’occupazione e la sopravvivenza di tante farmacie, il rischio di un complessivo aumento della vendita di farmaci sarebbe più che probabile (ricordiamoci che non stiamo parlando di pane o di pasta), rischiando di venderli a soggetti ad alto rischio (quanto sarebbe alto il rischio di emorragie in una persona trattata con anticoagulanti se questa facesse abuso di Aspirina?). Per il dottor Bianculli è, dunque, anche una questione di sicurezza.
Certo, il tema sicurezza è importante, ma nella proposta delle Coop, oltre al divieto di inserire questo genere di prodotti nelle offerte speciali tipo “3x2”, c’è l’obbligo della presenza di un farmacista all’interno del supermercato, proprio per dare consigli sui rischi e sull’abuso dei farmaci.
E allora perché i farmacisti non vogliono cedere parte del loro monopolio?
Forse perché, se una parte dei loro guadagni venisse dirottata altrove, le farmacie si troverebbero obbligate a ridurre il personale, licenziando alcuni dei propri dipendenti?
Questo non è probabile se è vero, come ci ha dichiarato il dottor Bianculli, che la vendita di tali prodotti incide solo per un 4% rispetto alle vendite totali di una farmacia.
Dunque, cosa c’è dietro l’ostilità nei confronti di una legge che, nei Paesi europei dov’è stata applicata, ha portato a ridurre il costo dei prodotti da banco del 30% e senza grossi contraccolpi per le farmacie?
Che ci sia il desiderio di non perdere il vantaggio, uno dei tanti di cui godono le farmacie, di vendere in esclusiva i farmaci? Grazie a questo monopolio, e anche perché la lobby dei farmacisti è ben organizzata, le farmacie italiane sono state pressoché unite, per esempio, nel non praticare uno sconto del 20% sul prezzo di vendita dei prodotti da banco, possibilità prevista da un’intesa siglata con il Ministero della Salute nel dicembre scorso, anche se Federfarma si è poi giustificata chiamando in causa il mancato rispetto di quella parte di accordo che prevedeva la normalizzazione dei pagamenti delle ricette da parte delle Aziende Locali Socio Sanitarie (ricordiamo che in Sicilia e in generale in tutto il centrosud le farmacie ricevono i rimborsi per i farmaci venduti dietro prescrizione medica mediamente dopo 6 mesi). Così facendo, però, i cittadini hanno continuato a pagare salate le pillole per i loro mal di testa e le farmacie hanno conservato inalterati i loro guadagni relativi a quella fascia di farmaci. Può essere, quindi, che i prodotti da banco hanno un mercato più ampio rispetto a quanto dichiarato dal presidente provinciale di Federfarma e/o il guadagno su ogni confezione è maggiore, oltre che immediato, rispetto ad altri prodotti?
Stando così le cose, è più facile spiegarsi perché una grande catena come le Coop si sia lanciata in una sfida che ha come unico scopo dichiarato quello di far risparmiare più o meno un euro sull’acquisto di una scatola di Cibalgina.
A meno che il vero obiettivo non sia, per il momento, quello di entrare nel mercato della vendita dei farmaci, per poi proporre, così come per la pasta o per il detersivo, un prodotto a marchio Coop. E in questo caso, crediamo, i margini di guadagno sarebbero ben più alti rispetto a quelli relativi alla semplice vendita di un prodotto di marca. Anche perché l’Aspircoop dovrebbe costare, gioco forza, molto meno rispetto alla classica Aspirina e quindi risultare più invogliante per i consumatori.
E in questa guerra, che posizione dovrebbe prendere il cittadino/consumatore? Una scatola di Aspirina, che si compri al supermercato o in farmacia, resta sempre una scatola di Aspirina.
Quindi, pur sentendoci come pedine in uno scontro tra armate che si battano per il controllo di un territorio, ben venga la possibilità di comprare i prodotti da banco al supermercato sotto casa, nella speranza di risparmiare qualche euro. Per sapere se ci riusciremo, però, bisognerà aspettare la prossima legislatura.
Mentre, per essere sicuri di spendere meno quando andiamo a comprare le nostre pillole contro il mal di testa o il nostro sciroppo per la tosse, dovremmo invitare il Governo a imporre una diminuzione dei prezzi direttamente alle case farmaceutiche, così come ha fatto per i farmaci di classe A, cioè quelli che sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale, e che in questo modo si sono riallineati ai prezzi europei.
PS: Se, dopo aver letto queste righe, vi è venuta voglia di firmare la proposta di legge e state per incamminarvi alla ricerca della Coop più vicina a casa vostra, lasciate stare: in provincia di Ragusa non c’è, almeno fino ad ora, un solo supermercato dove si possa firmare, dato che non si è riusciti a trovare un notaio o un segretario comunale disposto ad autenticare le firme.