ARTICOLI
Mondo antico
Operaincerta, 14 gennaio 2006
A Comiso il concerto di Alfio Antico e la sua musica popolare ricca di suoni e colori che vanno dal jazz al classico
Alfio Antico, per la sua storia artistica e personale, per il suo modo di fare musica, occupa un posto molto particolare nel mondo della musica italiana.
Nato a Lentini, in provincia di Siracusa; vissuto fino a diciotto anni fra le montagne dell’entroterra siracusano, in compagnia delle sue pecore (“Carusiddu, girava i muntagni, spustannuni da una parti a n’autra. Faceumu ’na vota all’annu a transumanza, comu tanti furmiculi, tutti in ordini e poi pascennu pecuri sutta celi aperti” [Ragazzino, giravo per le montagne, andando da una parte all’altra. Una volta all’anno facevamo la transumanza, come tante formiche, tutti in fila e poi pascendo le pecore all’aperto, sotto il cielo], tratto da Viaggio) e dei tamburelli da lui stesso costruiti; emigrato a Firenze alla ricerca di qualcosa che la sua vita da pastore non riusciva a dargli.
La carriera artistica di Alfio comincia ufficialmente a Firenze quando, suonando il suo tamburo in piazza della Signoria, viene notato da Eugenio Bennato che lo invita a suonare con lui. Ma è durante l’infanzia, con il suono delle campane del gregge e con quello del tamburello che la nonna usava per sconfiggere la solitudine e la paura, che il mondo di Alfio Antico nasce e si sviluppa e, insieme, nasce e si sviluppa la sua musica. Firenze è solo il posto che gli dà l’occasione per incontrare famosi musicisti e uomini di teatro, incontri che lo aiuteranno a maturare, che faranno di Alfio l’artista che conosciamo adesso e della sua musica una musica che, pur ancorata alla tradizione meridionale, più che siciliana, si arricchisce con suoni e colori nuovi, originali, moderni.
I suoi testi, semplici al limite del naif e, in certi momenti, commoventi, densi di riferimenti alla natura, alla vita da pastore e alle leggende contadine, ci trasmettono le stesse emozioni che proviamo quando ammiriamo un bel quadro (“L’autra ieri osservavataliannu ’npassaridduzzu supra di li rami […] trippava, cantava, ammenzu e fogghi camminava, cu lu so ’ntunatu fischiu, na melodia quant’era dduci” [L’altro ieri guardavo un passerotto sui rami […] saltellava, cantava, in mezzo alle foglie camminava,con il suo fischio intonato, una melodia dolcissima], tratto da Lettera d’amuri).
Tante le collaborazioni: Eugenio Bennato, la Nuova Compagnia di Canto Popolare, Musicanova, Vincenzo Spampinato, Angelo Branduardi, Lucio Dalla, Fabrizio De Andrè, Peppe Barra, Renzo Arbore, per quanto riguarda il mondo della musica; Maurizio Scaparro e Pino Micol (Vita di Galileo, 1988), Giorgio Albertazzi (Memorie di Adriano, 1988 e 1994), Massimo Ranieri (Pulcinella, 1994), Ottavia Piccolo e Renato De Carmine (Dodicesima Notte, 1991, regia di Jerome Savary), Roberto De Simone (Le Tarantelle del Rimorso, 1992 e Agamennone, 1994 al teatro greco di Siracusa) per il teatro.
Tre i dischi finora pubblicati: nel 2000 Anima ’ngignusa, nel 2002 Supra Mari, nel 2005 Viaggio in Sicilia.
Proprio in occasione del suo ultimo lavoro, Alfio Antico parte per un tour che lo vede in giro un po’ in tutta Italia e che il 17 dicembre 2005 ha fatto tappa, con l’organizzazione dell’associazione “Macedonia” (vedi Operaincerta di settembre), al teatro Naselli di Comiso, in provincia di Ragusa.
La musica di Alfio Antico non è la solita musica popolare che siamo abituati a sentire. Nel suo repertorio non c’è la riproposizione di classici della musica siciliana come Sciuri sciuru o Vitti ’na crozza. La musica di Alfio è un luogo che si riempie di suoni e colori che vanno dal jazz alla musica classica. Nel Viaggio in Sicilia tour questa caratteristica viene forse ancora più amplificata grazie al contributo dei due compagni di viaggio: Amedeo Ronga, napoletano, diplomato al conservatorio, che ha suonato tra gli altri anche con Danilo Rea, Paolo Fresu, Franco D'andrea, Francesco Cafiso, Joe Lee Wilson, Geri Hallen, Mathias Shubert, al contrabbasso e al mandoloncello; Alessandro Moretti, toscano, anch’egli diplomato al conservatorio, membro del “quartetto di fisarmoniche del conservatorio di Firenze” e del duo di fisarmonica classica “Moretti-Signorini”, naturalmente alla fisarmonica.
Lo spettacolo, cominciato in ritardo, crediamo, per aver atteso il pubblico arrivato alla spicciolata e con qualche difficoltà a causa del brutto tempo che ha investito la provincia di Ragusa, è stato aperto dai ragusani Taléh, con Vincent Migliorisi al bouzouki ospite della serata, che hanno eseguito il meglio del loro repertorio, fatto di brani della tradizione musicale siciliana rielaborata e riarrangiata. L’inizio è stato difficile, l’emozione ha giocato loro un brutto scherzo e le prime due o tre canzoni sono state eseguite in modo rigido e un po’ legnoso. Probabilmente suonare in un teatro, seppur non troppo affollato (che tristezza per quelle poltrone vuote), prima del mostro sacro Alfio Antico non deve averli aiutati. Per fortuna, brano dopo brano, hanno messo da parte l’emozione e alla fine sono riusciti a dare il meglio di sé (durante le prove, Alfio li aveva incoraggiati a spararsi ’u ciàppiru, a darci dentro come matti).
Quaranta minuti da protagonisti, poi il palco è stato di Alfio Antico.
Il suo concerto è stato aperto da un assolo con il tamburo, costruito (come tutti gli altri) dallo stesso Antico, per farci capire chi è e in quale mondo lo avremmo seguito nel corso di tutta la serata.
Il suo modo di usare i tamburi è del tutto speciale, e per suonare si aiuta con il movimento di tutto il corpo; faceva dunque una certa impressione guardare i suoi due compagni di viaggio immobili, chini sugli strumenti, in attesa di dare il loro contributo.
Poi, in sequenza, sono state eseguite, tra le altre, La me badìa, Barulè, Dormi stanchizza, La foglia, Desidero essere nata, che ci hanno dato prova che Amedeo Ronga e Alessandro Moretti non erano venuti a fare le comparse: la loro musica si è alzata in modo deciso, sposandosi perfettamente con i tamburi di Alfio. Un trio molto affiatato in cui ognuno, pur distinguendosi, si integrava perfettamente con l’altro, formando, tutti e tre, una sola cosa.
Difficile spiegare, a chi non c’era, che genere di musica abbiamo ascoltato. Non è stata etnica tout court, e nemmeno il classico folk cui siamo abituati. In certi momenti, se non fosse stato per la presenza di Alfio Antico e del suo dialetto, avremmo potuto immaginare di essere ad un concerto jazz o ad una milonga argentina.
Il concerto vero e proprio è stato chiuso da Anima ’ngignusa, un’invocazione nei confronti del sud perché si scuota dal torpore in cui si trova “arrusvigghiati sud, nun durmiri”.
Ma i tre musicisti riescono appena a lasciare il palco e a bere, forse, un sorso d’acqua che sono subito richiamati in scena dal pubblico.
In realtà è solo Alfio a rientrare e a cantare, a cappella, accompagnandosi con il tamburo, Tarallesa.
Poi è la volta dei due musicisti e, insieme, eseguono Fila fila in una versione a 78 giri che mette in evidenza, se ce ne fosse ancora bisogno, le capacità tecniche dei due.
È l’ultima canzone. Alfio Antico e i suoi due compagni di viaggio salutano il pubblico e vanno via. Ma il pubblico non è ancora sazio e invoca a gran voce il ritorno sul palco.
Alfio capisce che non può finire in questo modo e il trio rientra in scena. Ci avverte che quest’uscita non era prevista e che quindi faranno qualcosa di improvvisato, “come nasce nasce”.
Il come nasce nasce è una specie di medley con spezzoni tratti da classici della canzone popolare siciliana come setti fimmini e un tari o ballati ballati, fimmini schetti e maritati con un crescendo che spinge tutto il pubblico a battere le mani, i piedi e qualunque cosa possa essere battuta.
Poi è la fine, veramente la fine. E si va via con ancora un po’ di fame ma coscienti di aver mangiato un piatto prelibato.