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La cultura cambia il mondo

Operaincerta, 06 agosto 2005

 
Intervista a Salem Chebil, immigrato tunisino

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La prevenzione, si sa, è una cosa molto importante. Per anni, da ogni parte, siamo stati martellati con il concetto che “prevenire è meglio che curare”. Solo in un caso, la prevenzione, è negativa: quella che si nutre nei confronti del “diverso”, che molto spesso coincide con l’immigrato che troppo spesso è, nel nostro immaginario, irregolare, stupratore, portatore di malattie, sporco. Le statistiche, invece, ci dicono che la realtà è un po’ diversa: nel 2004 le persone arrestate in Italia erano circa seicentomila, di cui il 60 % italiani, il 38 % immigrati irregolari e solo il 2 % immigrati regolari (fonte: “L’Espresso”).
In questo numero di Operaincerta vorremmo dare voce a un immigrato diverso da quello che troppi si aspettano sempre, a un immigrato che non delinque, che non è sporco, che è ben ambientato nella nostra società. Abbiamo così incontrato Salem Chebil, un immigrato tunisino di 53 anni, ma dall’aspetto giovanile, che vive da 15 anni in Sicilia, di cui gli ultimi 10 vissuti a Donnalucata, una frazione marinara di Scicli, in provincia di Ragusa.
Gentilissimo, mi invita ad entrare a casa sua, “il mio palazzo”, una casetta a piano terra, a due passi dal mare, in mezzo a tante serre in cui si coltivano i pomodori. Ci fa accomodare in veranda, una veranda con vista sulle serre, tante piante da vaso lungo la ringhiera e una lavatrice, non proprio all’ultima moda, che troneggia su un lato.
Vuole offrirmi un caffé e al mio rifiuto (il caffé non mi piace) mi invita a non fare complimenti. Iniziamo la discussione.

Allora, Salem, da dove vieni?
Sono nato a Bou Merdés, un piccolo villaggio in provincia di Mahdia, quasi al centro della Tunisia, a 40 chilometri dalla costa. (Salem parla in un italiano tutto sommato abbastanza corretto, anche se farcito da termini dialettali e da cadenze che vengono dal francese, ndr).

E cosa facevi in Tunisia?
Da ragazzo ho studiato, ho fatto fino alla scuola superiore, la scuola alberghiera. Poi avrei voluto fare l’università ma la mia era una famiglia povera e non ho potuto continuare gli studi. Così ho cominciato a lavorare, ma si lavorava 24 ore su 24 ore, sempre, giorno e notte. E la paga era molto bassa. E allora un giorno ho detto “basta!” e sono andato a fare il muratore ma anche lì la paga era bassa. Allora con mia moglie abbiamo pensato che per dare un futuro ai nostri figli bisognava cambiare. E così sono partito dal mio paese e sono arrivato in Sicilia.
Adesso, ringrazio il Signore (lo dice in dialetto ragusano, ndr), ho un figlio laureato e un’altra che inizierà quest’anno l’università.

Dunque la tua famiglia è in Tunisia.
Certo, in Tunisia. Se fosse qua sarebbe bello. Ma qui il problema è la scuola. Perché i nostri bambini vengono da un’altra cultura, da un altro ambiente, e non è facile inserirsi nelle scuole pubbliche. Appena entrano in classe vengono subito notati perché sono diversi, poi non sanno parlare subito bene la lingua del posto e magari dicono qualche parola in modo storpiato, gli altri bambini cominciano a ridere, a prenderli in giro e così si demoralizzano. Se la scuola fosse come in Francia, dove si studia anche l’arabo, sarebbe più semplice e, in questo modo, resterebbero anche legati alla cultura e al paese d’origine. L’inserimento in un posto nuovo è una cosa molto pesante.
Io ho sofferto molto, adesso ho tanti amici, ringrazio il Signore, sono stato molto aiutato, ma non è facile l’inserimento.
Molti degli immigrati che arrivano non hanno fatto la scuola, sono ignoranti. Questo è il problema. Non sanno come ci si comporta.

Quando sei partito dalla Tunisia sei arrivato direttamente a Donnalucata?
Dalla Tunisia sono sbarcato a Trapani. A quei tempi nemmeno i passaporti controllavano. Si scendeva dalla nave e si andava dove si voleva. Io sono stato fortunato perché nel treno ho trovato un signore che parlava francese e che mi ha scritto come si dicevano le cose, in francese e in italiano. Così in quattro o cinque giorni ho imparato le parole più usate e ho cominciato a parlare.
Mi sono fermato a Calstelvetrano (in provincia di Trapani) ma era un casino e mi sono subito detto che non era il posto per me. Appena arrivato sono andato in un bar e ho chiesto ad un signore se conosceva un posto dove poter lavorare perché a Castelvetrano c’era troppa confusione e a me non piaceva. Quel signore mi disse che in provincia di Ragusa cercavano lavoratori nell’agricoltura. Così sono subito partito e appena arrivato qui, a Vittoria, ho chiesto di lavorare e un signore mi ha portato a Santa Croce Camerina. Mi ha dato anche l’alloggio, una casetta come questa dove sto adesso, ma per questo bisogna accontentarsi.
Ho lavorato per due anni a Santa Croce e per mesi non ho incrociato un solo tunisino (a quell’epoca, perché adesso Santa Croce Camerina ha la più alta densità di gente originaria della Tunisia che nel resto della Sicilia, ndr). Ma gli abitanti del paese sono stati molto gentili con me. E questa è una cosa che non dimenticherò mai.

E adesso vivi a Donnalucata.
Sì. Per quattro anni ho lavorato in un’azienda agricola. Ma poi, quando l’azienda si è ingrandita mi hanno chiesto di restare sempre al lavoro. Ma siccome io due o tre volte all’anno volevo continuare ad andare dalla mia famiglia, in Tunisia, ho deciso di lasciare quel lavoro.
Adesso lavoro in un’altra azienda agricola, dove mi trovo bene.
Tutti noi immigrati lavoriamo come manodopera non qualificata perché per fare un altro lavoro bisognerebbe conoscere bene la lingua, saper scrivere. Ma quando uno arriva qui, non sa a chi rivolgersi per trovare un lavoro. Non c’è un ufficio che ti dice cosa fare e come fare. Manca l’informazione.
E poi, un altro grande problema è la casa. Perché è difficile da trovare e quando si trova ti chiedono un prezzo incredibile che non si può pagare o se non è così alto, magari dopo due o tre mesi, ti richiedono la casa e ti mettono in strada.
A volte trovi case in cui non c’è la doccia e allora hai difficoltà a lavarti e a lavare i vestiti e così inizi a puzzare e per questo non sei accettato dalla gente del posto che non si rende conto che se puzzi è perché non puoi lavarti e invece loro pensano che sei sporco perché sei africano.

E invece rispetto al lavoro, come va?
Devo dire che rispetto al lavoro va bene. Sono messo in regola, ho una busta paga, il mio salario è quello di legge. Sono trattato come un italiano, insomma. Com’è giusto che debba essere.
Certo, io sono fortunato perché lavoro in un’azienda seria ma ci sono aziende che danno il lavoro per uno, due o tre mesi e poi, per qualunque motivo, ti licenziano. O che magari ti denunciano alla polizia come clandestino. Il problema è la mancanza di controlli!
E poi c’è uno sfruttamento da parte dei datori di lavoro rispetto a chi ha bisogno di lavorare per aver confermato il permesso di soggiorno. Ti dicono che ti possono mettere in regola solo per alcuni giorni e tu non puoi dire nulla perché hai bisogno di lavorare. Ma il grande problema è il controllo del mondo del lavoro o una sua migliore organizzazione.

Come ti trovi con gli abitanti di Donnalucata?
Tutto dipende da come ci si comporta. Se uno si comporta bene viene rispettato. Sai come si dice? Che tutto il mondo è paese! Se c’è qualcuno che ti tratta male è perché è una persona ignorante. Poi c’è anche un problema di comunicazione. Alcuni immigrati non sanno parlare bene l’italiano e dunque spesso sono fraintesi. Certo, parlare la lingua è importante…

Ma allora perché hai scelto di venire in Sicilia, invece di andare in Francia?
Ma perché la Sicilia è il posto più vicino alla Tunisia e il viaggio costa poco.

Che rapporto hai con gli altri immigrati.
Anche questo è un problema perché ce ne sono che sbagliano! Io cerco di frequentare solo le persone oneste, che lavorano. Ma ce ne sono tanti che sono “rovinati” dagli italiani. Conoscevo un ragazzo che lavorava con me a Santa Croce. Poi ha cominciato a frequentare un gruppo di ragazzi del posto che lo hanno portato sulla cattiva strada.

Nel tempo libero cosa fai?
Io faccio casa e chiesa. Quando torno dal lavoro, la sera, non è che mi resta molto tempo libero. Dopo aver fatto la doccia, preparato la cena e mangiato, resta ben poco tempo. La domenica ho più tempo e allora vado in centro, prendo un caffé con gli amici (che sono quasi tutti italiani), scambiamo due parole e la giornata passa così.
Devo dire che io mi sono integrato benissimo. Il Signore mi ha aiutato.

Cosa ti manca della Tunisia?
La famiglia! Se ci fosse stata la possibilità di far frequentare la scuola ai miei figli, io avrei portato qui la mia famiglia. Perché io vorrei vivere con la mia famiglia. Vivere con la propria famiglia cambia la vita, ti dà una maggiore tranquillità. Stando separati, io soffro e soffrono anche loro.

Quindi, prima o poi vuoi ritornare in Tunisia...
Certo che voglio tornare in Tunisia, mica posso restare tutto il tempo qui. Io ringrazio il Signore che i miei figli hanno potuto studiare, ma voglio ritornare per poter vivere con la mia famiglia.
Ma quando tornerò in Tunisia porterò con me un bel ricordo dell’Italia. Qui ho trovato un popolo educato.

Da cosa pensi che dipenda?
Credo che dipenda dall’educazione e dalla cultura. Perché è la cultura che avvicina le persone, è la cultura che cambia il mondo, è la cultura che apre gli occhi al popolo.

Senti Salem, tu ringrazi sempre il Signore. Ma quale Signore, il nostro o il vostro?
(Con il sorriso sulle labbra, con un tono scherzoso ma serio, ndr). Ma il Signore uno solo è. Perché, voi quanti Signori avete? Il Signore è uno ed è uguale per tutti.
La discussione è finita. Chiedo a Salem se posso fotografarlo. Mi risponde che per dire le cose basta la voce. Capisco.

Lo saluto con la sensazione di aver imparato qualcosa, di aver conosciuto un saggio. Mi invita a tornare a trovarlo. Forse tutti noi, anche quelli che ci sentiamo aperti e che ci diciamo antirazzisti dovremmo provare a passare un po’ di tempo con le persone che vengono in Italia a cercare lavoro. È un buon modo per diventare più ricchi.